Innovazione

Anche se vi è chi continua a pensare che possa essere “bene pubblico globale“, soprattutto nella locuzione “fare i.“, assegna al “nuovo” – in particolare se “digitale” – il ruolo di fine anziché quello di mezzo. Questa espressione è tipica dell’egemone immaginario mercatista e ha oscurato la prospettiva secondo cui i cambiamenti introdotti dovrebbero invece essere strumenti di sviluppo umano, concepiti, impiegati e monitorati in base a espliciti criteri civici, etici, ecologici, bio-medici, economici e sociali. È un approccio deterministico, fondato sul profitto di impresa, ed è alla base dell’accettazione subalterna delle disruzioni indotte dalle modifiche all’assetto tecnocratico.

Gerd Leonhard, “futurist”, le associa tre caratteristiche:

  • esponenzialità;
  • combinazione:
  • ricorsività.

    Molto interessanti le riflessioni in proposito di Gui:

“Quali sono dunque le differenze tra progresso e innovazione? Il concetto di progresso veicola l’idea di un ineluttabile cambiamento in meglio dal punto di vista socio-tecnologico. Il progresso tiene insieme passato, presente e futuro. Esso veicola una positività del cambiamento nell’ottica di un miglioramento delle condizioni di vita del genere umano e ha un’implicazione etico-civile oltre che tecnico-economica. L’innovazione è, invece, un concetto più neutro dal punto di vista etico. Esso descrive l’introduzione di nuovi sistemi, nuovi ordinamenti, nuovi metodi di produzione e simili (vocabolario Treccani). In un sistema che ha smarrito la fede in un orizzonte di miglioramento preciso, la velocità di produzione di novità finisce per diventare un valore in sé. Non si sa – nel concetto di innovazione – se la novità avrà un impatto positivo per il genere umano, né si ritiene di avere gli strumenti per saperlo. Ma, tutto sommato, questa preoccupazione passa in secondo piano. Ciò che interessa è che si innovi, si vada avanti, beneficiando della positività di tale novità in un periodo più breve: innovare è un bene perché, intanto, rende più competitivi nei mercati globali e locali”.

La distinzione tra innovazione e progresso è chiarissima nelle concettualizzazioni dell’economia fondamentale, che si distingue in materiale e provvidenziale ed è finalizzata al benessere sociale, attraverso la fornitura di beni essenziali (dall’acqua corrente all’istruzione) il cui fine è migliorare la condizione di tutti e di ciascuno e di accrescere la capacità umana generale, riconoscendone i diritti universali.

Sempre in questo ambito, viene proposto invece il termine rinnovamento, che ha valenza di iterazione, riproposizione resa più efficace e coerente con gli obiettivi, miglioramento, estensione del benessere diffuso.

Come osserva Demichelis, inoltre,

una cosa è applicare l’idea di un progresso qualitativo illimitato sulla base di un progetto umano (…) di conoscenza e di sapere/consapevolezza – ovviamente da favorire e perseguire –; altro è, per l’uomo, doversi adattare (alienandosi, pur integrandosi) a una innovazione tecnica e capitalistica che non governa più e dalla quale è appunto alienato,(…) smettendo di immaginare da sé e per sé, ma replicando tecnicamente l’immaginazione e gli immaginari prodotti per lui dalla Silicon Valley.

Afferma invece Laudani

(…) quello di innovazione è un concetto molto preciso e generale al tempo stesso. (,,,) innovazione è qualcosa che introduce il nuovo, che ha quindi strettamente a che fare con il cambiamento dello stato di cose presente. Per valutare se l’innovazione è necessaria sul piano sociale ed istituzionale, occorre quindi partire da un’analisi di questo stato di cose presente e indicare la direzione verso la quale si vuole tendere. Non è peraltro detto che il nuovo sia necessariamente qualcosa di positivo e di utile. In alcuni casi potrebbe non esserci bisogno del nuovo e potrebbe essere preferibile consolidare qualcosa che già esiste, proteggerlo dalle eventuali trasformazioni o dall’esaurimento della propria energia. Se non lo si aggancia a una visione della società e a un progetto, l’innovazione è un concetto molto generico, al limite dell’insignificanza. O peggio diventa – e lo è stato spesso in questi anni – un mantra con una funzione ideologica: dietro la retorica dell’innovazione vengono promossi specifici processi di trasformazione delle società e delle istituzioni, che non necessariamente sono condivisibili e alcuni di quelli che sono stati portati avanti negli ultimi anni, dal mio punto di vista, non lo sono, perché tendenzialmente hanno smantellato anche aspetti dell’organizzazione sociale che potevano anche essere positivi. (,,,) la tecnica rappresenta le forze produttive e la tecnologia il modo di produzione. Quindi la tecnologia presuppone sempre un progetto che la ispira. E quindi la retorica dell’innovazione tecnologica, se portata avanti da sola, di fatto si porta dietro il progetto ideologico che la ispira, e quindi ha una funzione eminentemente ideologica.

(Innovazione, partecipazione, piattaforme. Intervista a Raffaele Laudani – Pandora Rivista)

Fumagalli ricorda per altro che

[“Il primo] Schumpeter distingue proprio tra invenzio­ne, di solito generata al di fuori della sfera economica e quindi ipotizzabile come variabile esogena, e innova­zione, che invece costituisce la finalità dalla funzione di investimento e che, perciò, deve essere considerato un fattore endogeno al sistema economico (….) Secondo Schumpeter, la potenza del capitalismo sta proprio nella capacità di generare innovazione. (…)Le innovazioni sono invenzioni rese eco­nomicamente produttive (…)”

Milani è netto:

[Le frequenti]«innovazioni» [apportate alle procedure tecnologiche digitali sono] (…) selezioni di caratteri ritenuti adeguati (…) [a renderle ancora più appetibili] , in una nuova versione «migliorata». Migliorare, dal punto di vista dell’esattamento tecnico industriale, significa immaginare e mettere a punto selezioni di caratteri per accelerare, prolungare e intensificare la durata degli scambi e il tempo complessivo trascorso dagli umani all’interno di quella dinamica interattiva tossica. (C. Milani – Tecnologie conviviali)

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