Afferma il collettivo Ippolita:
le tecnologie [digitali a vocazione capitalistica determinano] regimi di verità, dunque saperi politicamente orientati, a partire dalla loro progettazione tecnica.
(…)
Insegnare a trasgredire la norma tecnocratica è una sfida che non può essere ingaggiata senza l’ausilio della meridiana concettuale di genere-razza-classe. Il modo in cui il mondo ha conosciuto la tecnologia [digitale] è [infatti] caratterizzato da una dominante coloniale che è ancora pericolosamente sottovalutata.
Le piattaforme [estrattive] sono a tutti gli effetti progetti di stampo coloniale che regolano la comunicazione globale secondo uno schema culturalmente guidato dal capitalismo statunitense.
Le tecnologie commerciali si installano nei nostri vissuti con l’idea di esportare la democrazia e rendere il mondo un posto migliore, dando completamente per scontato che la loro idea di civiltà sia qualcosa che dovremmo accogliere come un dono prezioso.
(…) Ci troviamo di fronte a una forma di suprematismo ideologico, continuazione di quello patriarcale e bianco, con mezzi tecnologici. Le grandi major dell’IT sono i nuovi padroni globali che ci indicano dove e come produrre senso, omogenizzando ogni differenza culturale.
(…)
Gli standard tecnici delle ergonomie cognitive non sono stati abbassati per favorire l’emancipazione o l’inclusione della diversità nel dibattito pubblico, ma per allargare la soglia della propaganda politica. Non bisogna avere difficoltà nell’usare la “tecnologia”, perché si tratta di un prodotto di consumo globale che deve intrattenere chiunque abbia un lobo frontale, a partire dalla culla. Viviamo un’ingiunzione a stare al centro dei riflettori e veniamo addestrati al narcisismo come se fosse l’unico modo di emergere e far sentire la propria voce. (…) Alla retorica che le piattaforme siano un ripetitore di comunicazione pubblica che “funziona” si aggiunge la difesa della propria zona di comfort, lo psico-addome che ci nutre di micro-scariche dopaminergiche da cui non vogliamo sganciarci. Occorre fatica per riconoscere il dominio coloniale (…) [dei dispositivi digitali estrattivi] in una prospettiva di coscientizzazione, perché ciò si apre a un lavoro di presa in carico della propria coscienza nella direzione di un cambiamento concreto. E questo fa molta paura. (…)
Il sogno americano risvegliato dai social è l’utopia liberale della conquista dell’Ovest. Una concezione di occupazione territoriale che procede attraverso l’oppressione sistematica delle minoranze e degli altri viventi. L’egoismo virtuoso dell’uomo bianco col fucile è legato a un’idea di comunità ristretta a forme familistiche ultraidentitarie. Questi bias (polarizzazioni, pregiudizi) sono la base culturale implicita nel sistema tecnico che ci è stato fornito e che avalliamo quotidianamente fingendo che sia “neutro”.