Imposizione del Dipartimento della difesa degli USA alla fine degli anni Ottanta, a seguito del riconoscimento di importanza geo-politica e militare degli studi sull’IA ad Harward e al MIT.
Come ricostruisce Sam Williams, infatti:
Al laboratorio di intelligenza artificiale, le attività politiche di Stallman andavano assumendo connotazioni decisamente più serie. Durante gli anni ’70, gli hacker dovevano fronteggiare continuamente membri di facoltà e amministratori decisi a costruire una sorta di cordone intorno all’ITS e ai relativi progetti su misura per quegli hacker. Uno dei primi tentativi in tal senso avvenne verso il 1975, quando un crescente numero di professori iniziò a richiedere un sistema di sicurezza a tutela dei dati delle ricerche. La gran parte degli altri laboratori informatici aveva installato sistemi analoghi sul finire degli anni ‘60, ma il laboratorio di intelligenza artificiale, grazie all’insistenza di Stallman e di altri hacker, rimaneva una zona franca.
Per Stallman, l’opposizione ai sistemi di sicurezza era di natura sia pratica che etica. Da quest’ultimo punto di vista, egli non mancava di sottolineare come l’intera arte dell’hacking fosse basata sull’apertura e sulla fiducia intellettuale. Rispetto al lato pratico, ribadiva come la struttura interna dell’ITS fosse aderente a questo spirito di apertura, e ogni tentativo di re-impostare il tutto si sarebbe rivelata un’operazione assai complessa.
“Gli hacker cui si deve l’Incompatible Time Sharing System si resero conto di come la protezione dei file venisse solitamente usata dal gestore di un sistema per guadagnare potere rispetto a tutti gli altri”, così recita la successiva spiegazione di Stallman. “Non volevano che qualcuno potesse arrivare a tanto, perciò decisero di non implementare quel tipo di funzione. Come risultato, ogni qual volta nel sistema si verificavano dei problemi era sempre possibile risolverli.”
Fu grazie a questo tipo di vigilanza che gli hacker consentirono alle macchine del laboratorio di intelligenza artificiale di rimanere immuni da ogni funzione di sicurezza. Al contrario, però, di quanto accadde nel vicino laboratorio d’informatica, sulla spinta dei membri di facoltà: qui il primo sistema protetto da password venne installato nel 1977. Ancora una volta fu Stallman ad assumersi la responsabilità di correggere quel che considerava una sorta di lassismo etico. Avuto accesso al codice del software che controllava il sistema delle password, vi introdusse un comando che inviava un messaggio agli utenti del laboratorio d’informatica quando uno di questi si apprestava a creare una password. Se per esempio qualcuno sceglieva “starfish”, veniva generato un messaggio che diceva all’incirca:
Vedo che hai scelto “starfish” come password. Ti suggerisco di modificarla in “carriage return.” E’ molto più facile da digitare e aderisce al principio che nega l’esistenza di alcuna password.
Gli utenti che optavano per “carriage return” – quelli cioè che semplicemente premevano il tasto Invio, lasciando in bianco la stringa della password invece di digitarne una personale – consentivano l’accesso al mondo intero, tramite il proprio account. Una pratica che, per quanto preoccupasse qualcuno, rinforzava il concetto secondo cui i computer del MIT, e perfino i file contenuti, appartenevano al pubblico anziché ai singoli individui. Nel corso di un’intervista per il libro del 1984 Hackers, Stallman fece notare con orgoglio come un quinto dello staff del laboratorio d’informatica aderì a quella posizione, lasciando in bianco la stringa per la password.
In definitiva però la crociata di Stallman si rivelò inutile. All’inizio degli anni ’80 anche le macchine del laboratorio di intelligenza artificiale finirono per dotarsi di sistemi di sicurezza basati sulle password. E tuttavia l’episodio rappresentò una pietra miliare lungo il percorso della maturazione personale e politica di Stallman. Osservando con occhio attento le sue vicende successive, quell’evento si pone come punto di passaggio tra il timido adolescente terrorizzato a intervenire in pubblico persino su questioni d’importanza vitale e l’attivista adulto che avrebbe presto trasformato quell’attività di provocatore in occupazione a tempo pieno.
Nell’opporsi a piena voce ai sistemi di sicurezza, Stallman non fece altro che riflettere quelle forze su cui si era formato da bambino: sete di conoscenza, disgusto per l’autorità, frustrazione per procedure e regole nascoste che emarginavano quanti le ignoravano. In tal modo venivano inoltre evidenziati quei capisaldi morali che avrebbero dato successivamente forma alla sua vita adulta: la condivisione di responsabilità, la fiducia, lo spirito hacker mirato all’azione diretta. Ricorrendo alla terminologia informatica, si può dire che quella stringa vuota rappresentava la versione 1.0 della concezione politica globale di Richard Stallman – incompleta in alcuni punti, ma per la gran parte giunta a piena maturità.