Fabio Chiusi ci presenta una sorta di paradosso.
L’ai (…), fin dalla sua nascita come disciplina autonoma negli anni cinquanta, sembra godere del privilegio – più unico che raro nel mondo della scienza – di poter promettere senza dover mantenere. Meglio: di continuare a determinare e comandare processi la cui complessità sembra sfuggirle sistematicamente. Come è possibile? Il primo passo per provare a rispondere è guardare più a fondo dentro la presunzione ideologica che accomuna tutti i casi appena citati, ovvero (…= il passaggio, sottile ma fatale, dall’idea che tramite l’ai si possa risolvere questo o quel compito, a quella – ben diversa – secondo cui ogni compito sarebbe risolvibile esclusivamente per mezzo dell’ai. (…) [Siamo di fronte] a una precisa cornice interpretativa (frame), oggi dominante nei media mainstream e nei dibattiti tra non addetti ai lavori, per il rapporto tra uomo, politica e tecnologia: quello che Morozov chiama, riadattandolo in accezione “sfacciatamente dispregiativa” dal mondo dell’architettura e della pianificazione urbana, “soluzionismo”. (“L’Intelligenza artificiale non è la soluzione. Critica ideologicadel soluzionismo nell’AI”. Aut Aut 392)