Decostruzione dei modelli concettuali mainstream e risignificazione lessicale del campo di azione dei dispositivi digitali e del relativo immaginario, con approccio etico, politico-culturale, sociale.
In prima istanza demisticante, in seguito nella direzione dello sviluppo, dell’estensione e del prolungamento delle capacità umane, in termini di indipendenza ed equilibrio planetario.
Il procedere dell’hacking concettuale sul piano politico può essere questo:
- decostruzione;
- ricostruzione;
- destabilizzazione del significato corrente nel senso comune;
- proiezione di speranza utopica, di inedito possibile.
Questo perché
la produzione di concetti ha cambiato faccia da decenni. Oggi si è spostata dalla parte dei promotori dell’era digitale, che rinnovano costantemente il campo lessicale, Parliamo quindi di “nativi digitali” per designare i bambini nati nell’era digitale quando non stiamo annunciando l’avvento dell'”homo numericus”; elogiamo le “smart grids” accoppiate alla “smart city” che permetteranno di realizzare una chimerica “transizione energetica”. Il tutto promette il migliore di tutti i mondi, con un sacco di “slow tech”, “civic tech” o “tecnologie etiche”, “by design”, naturalmente. Un neologismo rincorre l’altro, troppo velocemente perché si possa riflettere su ogni termine. Questa inventiva linguistica contribuisce a confondere il dibattito: pensare al mondo in termini digitali significa non pensare più al posto del digitale nel mondo. Di fronte a questo compito, è comprensibile che artisti, ingegneri, filosofi e sociologi debbano raddoppiare gli sforzi per condurre questa battaglia culturale. (Nicolas Celnik, Fabien Benoit – “Techno-luttes. “”Enquête sur ceux qui résistent à la technologie”, traduzione in proprio)