Non basta dire visualizzazione…

Esposito distingue in primo luogo tra:

  • immagini come illustrazioni, che hanno lo scopo di mostrare informazioni già disponibili;
  • immagini come visualizzazioni, che hanno lo scopo di rendere possibile la produzione di nuove informazioni, ovvero usare la visione per pensare, attraverso l’attivazione di processi cognitivi di formulazione di ipotesi

Distingue poi tre forme di visualizzazione, intesa come interazione con i dati:

  • scientifica, usata per mostrare forme basate su un approccio “fisico” e sulla disposizione spaziale (per esempio, una lastra radiografica);
  • informazionale, svincolata dalla disposizione spaziale, in grado di rappresentare/far comprendere concetti e relazioni che non hanno necessariamente una controparte nel mondo fisico (per esempio, istogrammi, grafici a torta, grafici a dispersione e così via);
  • digitale, che prevede l’uso di dispositivi elettronici e di applicazioni, tra cui gli algoritmi.

Con la visualizzazione digitale

un nuovo agente interviene nel processo e consente sforzi che altrimenti non sarebbero possibili: questo nuovo agente, che esplora i dati e produce informazioni, in questo caso è il computer stesso. [In particolare, gli] algoritmi non mostrano solo i modelli, li trovano. Attraverso la visualizzazione digitale possiamo ottenere conoscenze che non stavamo cercando. 37 Il lavoro autonomo degli algoritmi dovrebbe identificare strutture (o pattern) nei dati senza l’intervento del ricercatore. Visualizzando i modelli, quindi, gli algoritmi possono mostrare qualcosa che i ricercatori non stavano cercando, ampliando così il loro orizzonte interpretativo. Quello che viene visualizzato non è la struttura degli oggetti di uno studio, né una rappresentazione semplificata dei dati disponibili, ma le configurazioni “scoperte” autonomamente dagli algoritmi, che si offrono all’interpretazione e all’esplorazione. L’interpretazione può quindi portare a nuove informazioni. (Elena Esposito, “Artificial Communication. How Algorithms Produce Social Intelligence”, MIT Press – rilasciato inCreative Commons, CC-BY-NC-ND)

Dal saggio sottostante, tradotto da Google Translate