Così si definisce l’insieme di strutture cognitive tipiche dei prodotti di una determita carriera e comuni tra coloro che si occupano di una medesima disciplina in un certo periodo, posizionati in un sistema universitario nazionale. Questo agglomerato di fattori decide su cosa concentrare l’attenzione e vincola soggetti, teorie di riferimento e metodologie. La sua visione della credibilità scientifica si fonda sull’adeguamento agli standard di qualità imposti dalla geopolitica conoscitiva della supremazia cognitiva occidentale nelle pratiche di ricerca, didattica e scrittura e si riflette sull’assetto materiale: distribuzione di risorse e denaro, assegnazione di infrastrutture, tempi e spazi, con impatto sulle condizioni di lavoro e sulle relazioni sociali e la produzione di cultura.
In particolare, osserva Paul Tarc, alle università è richiesto attualmente sia di operare come istituzioni progressiste e inclusive sia di avere la reputazione necessaria per competere per i talenti sul mercato globale dell’istruzione e devono perciò disporre di capitali/redditi – attraverso l’aumento delle rette, le partnership aziendali, la filantropia e la raccolta di fondi – in un contesto di finanziamenti pubblici ridotti o precari. Di conseguenza, molte università sono gestite come aziende; e così “fare soldi” e “fare del bene” sono considerati pragmaticamente congruenti. Affermare e far percepire una reputazione fondata su di un marchio “etico” o “progressivo” diventa molto rilevante, facendo per esempio riferimento a preoccupazioni sociali come l’ambiente a cui i potenziali consumatori-soggetti sono sempre più interessati Le amministrazioni universitarie considerano la generazione di entrate, in presenza di finanziamenti pubblici in calo, come il mezzo per raggiungere le proprie missioni “superiori”, per “fare la differenza”, modello operativo e culturale dell’istituzione nel suo complesso, che si traduce in retorica delle relazioni intra-accamiche e in obiettivo strategico per i percorsi di studio (“rendere il mondo migliore”), in una visione delle meritocrazia come competizione aperta a tutti, e del proprio agire potenziato in un mercato sostenibile come elitaria e cosmopolita emancipazione personale dai meccanismi dell’ordine capitalistico reificato.
Chiedere ai bambini, che non godono di pieni diritti politici negli spazi della scuola dell’obbligo, di essere “agenti di cambiamento” per “creare un mondo migliore” è problematico in due modi. In primo luogo, distoglie gli adulti dalla responsabilità di agire come cittadini politici e distrae dalla crisi di depoliticizzazione avanzata dal neoliberismo; in secondo luogo, privilegia l'”agire” individualizzato e caritatevole rispetto alla conoscenza e alla comprensione nell’educazione internazionale scolastica. (Paul Tarc, “The Capture of International Education by Progressive Neoliberalism. Illuminations, Qualifications, and Educating Beyond”)
Muraca individua una sorta di antidoto nella trasformazione del modo di conoscere e quindi di agire,
riarticolando:
- soggettività e oggettività,
- individualità e collettività,
- trascendenza e immanenza,
- sacro e profano,
- bene e male, piante,
- animali e umanità a partire dal dialogo con cosmologie, cosmovisioni e antropologie più relazionali e unitarie. (M. Muraca, “Un’etnografia collaborativa con il Movimento di Donne Contadine a Santa Catarina (Brasile)”, Mimesis Edizioni)