Search engine come pratica epistemica

Origgi adotta un approccio illuminante:

Il caso del Web è paradigmatico: non solo esso rappresenta una trasformazione radicale nel nostro modo di avere accesso alla conoscenza, ma poiché nell’estrarre informazione integra valutazione e reputazione grazie agli algoritmi di ricerca fondati sul posizionamento (come PageRank), ha anche cambiato le forme, le classi di oggetti, le discipline e il modo in cui questi oggetti del sapere sono costruiti. (…) Le ricerche su Google, le voci di Wikipedia, le transazioni su eBay sono tutte fondate sulla semplice correlazione tra i dati filtrati da molti e la pertinenza, per noi, dell’informazione che otteniamo. (…) [Però] il nostro controllo sul modo in cui l’informazione è trattata è talvolta debole, (…) le capacità individuali o istituzionali d’intervento sul disegno del processo di valutazione e di raccolta delle informazioni sono spesso molto limitate. La questione del design non è dunque soltanto epistemologica, è anche politica: essa implica l’essere coscienti delle distorsioni di questi sistemi e degli abusi cui possono dare luogo. E questo è un problema generale che riguarda gli intenti delle istituzioni. (…) il successo del Web come pratica epistemica (…) [deriva] dalla sua capacità di fornire non tanto un sistema potenzialmente infinito di memorizzazione dell’informazione, quanto una rete gigantesca di sistemi di gerarchizzazione e valutazione nei quali l’informazione assume valore in quanto già filtrata da altri esseri umani. Questa passione per l’organizzazione in gerarchie costituisce una caratteristica centrale dell’intelligenza collettiva. (G. Origgi, “La reputazione. Chi dice che cosa di chi”, Università Bocconi Editore)