Descrivere le tecnologie digitali come prodotti sociali e svelarne le ambiguità in modo emancipato e con scopo emancipante è dovere politico-culturale di una critica radicale della "platform society", capace di decostruire mediante cortocircuiti concettuali l'inganno tecno-liberista della "società della conoscenza sorvegliata".
[poiché] non c’era davvero alcun motivo per cui l’URI dovesse fare riferimento a un server particolare (..) ma doveva solo riferirsi all’unità di contenuto, che a sua volta poteva essere ospitata ovunque e, in teoria, essere prontamente disponibile per sempre, purché qualcuno da qualche parte continuasse a ospitare il nome. Data la facilità di copiare i contenuti digitali, inclusi interi siti Web, la tecnologia ha conferito ai contenuti Web una sensazione di persistenza. Non è proprio la stessa cosa della permanenza, ma era abbastanza vicino. (S. Malcomson, “Splinternet. How Geopolitics and Commerce are Fragmenting the World Wide Web”, traduzione in proprio)