Ricorda Solimine:
(…) una ricerca di qualche anno fa (…), che analizzava i livelli di partecipazione degli italiani con età compresa fra i 18 e i 65 anni alla vita culturale, prese in considerazione 42 indicatori relativi a vari aspetti: la frequenza di corsi di istruzione, formazione e aggiornamento; le abilità linguistiche; la lettura di libri nel tempo libero e per motivi professionali, la lettura di giornali e riviste; l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; la propensione a svolgere attività artistiche o amatoriali; la fruizione di spettacoli dal vivo e del patrimonio storico, museale e paesaggistico. Emerse che meno del 2% dei nostri connazionali svolgeva almeno 30 delle 42 attività prese in considerazione; un altro gruppo, formato dal 14% della popolazione, aveva un livello di fruizione medio-alto (24 attività); il 31% circa svolgeva 18 attività, collocandosi a un livello intermedio; il 38% aveva un livello di fruizione medio-basso (12 attività) e poco più del 15% aveva un bassissimo livello di partecipazione, svolgendo solo 5 delle attività considerate. In questi ultimi due gruppi, caratterizzati dai livelli meno elevati di partecipazione, e in particolare in quello con il livello più basso di tutti, troviamo gli strati più deboli dal punto di vista socioeconomico. Questo stile di vita non riguarda solo i consumi culturali: chi è attivo culturalmente in genere pratica sport e attività motorie in misura doppia rispetto alla media, svolge attività amatoriali e coltiva hobby (fa fotografie, disegna o dipinge, suona uno strumento musicale, scrive, utilizza il pc in modo creativo, si diletta con lavori di bricolage). Inutile dire che anche per quanto riguarda la fruizione di spettacoli dal vivo e del patrimonio storico, museale e paesaggistico si registra una forte correlazione. La vera differenza, dunque, è fra dinamismo e staticità, fra vivacità e passività, fra una vita ricca e una vita povera. (G. Solimine, “Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia”)