Il valore epistemologico ed etico della tecno-ignoranza

Luciano Gallino, nel 2007. era per molti aspetti profetico:

Espressione progredita della cultura e dell’evoluzione sociale, la tecnologia contemporanea, che incorpora volumi senza fine crescenti di conoscenza scientifica, ha acquisito un potere determinante sull’esistenza umana e sui sistemi naturali che la sostengono. Possiede la capacità provata di migliorare grandemente la qualità dell’esistenza, almeno per chi può disporre di essa in quantità adeguate, e di prolungarne di decenni la durata. D’altra parte è atta a operare anche in senso diametralmente opposto, a carico nostro o dei nostri discendenti, o di altre popolazioni. Qualcosa di analogo vale per i sistemi sostenenti la vita. La tecnologia è capace tanto di mantenerli in buono stato, quanto di comprometterli. Le due cose non vanno insieme, non nello spazio e nemmeno nel tempo. È possibile che i miglioramenti considerevoli che la tecnologia ha recato a noi, in questa parte del mondo, contribuiscano a peggiorare già nel presente le sorti di altre popolazioni, cosí come i guadagni di qualità e di durata dell’esistenza goduti dalle nostre generazioni potrebbero essere pagati da peggioramenti dell’esistenza di quelle future, perché i sistemi sostenenti la vita sono stati da noi compromessi. Considerate le dimensioni della posta in gioco, alcune domande parrebbero imporsi. Se non dovremmo, per esempio, adoperarci maggiormente per comprendere in modo approfondito il potere della tecnologia scientificizzata; le sue origini; i suoi effetti a lungo periodo; quali possibilità sussistono di governarlo e indirizzarlo piú efficacemente a scopi umani. O se non ci converrebbe cercar di usare maggiori dosi di democrazia per governare la tecnologia e la scienza che incorpora. E, al tempo stesso, provare a orientare verso nuovi usi la tecnologia per migliorare il funzionamento della democrazia, a cominciare dai processi di decisione nelle organizzazioni. Infine, se la tecnologia e la scienza attuali, con le loro ricadute sui sistemi che sostengono la vita, siano esse stesse sostenibili. (…) nella definizione [corrente] di società della conoscenza (…) le nozioni complementari di una tecnologia più democratica, e di una democrazia che sappia meglio sfruttare ai propri fini diversi aspetti della tecnologia, non sono in alcun modo presenti. Assente è anche l’idea che una società della conoscenza dovrebbe disporre di tecnologie scientifiche, e/o di scienze tecnologiche, che si propongono come dichiaratamente sostenibili, sí da far parlare di una società della conoscenza sostenibile (…) Meno che mai si intravvede (…) un richiamo alla rilevanza strategica, ove si intendano elaborare politiche democratiche della tecnologia e della scienza, che viene attribuita oggi al concetto, risalente nientemeno che a Platone, di ignoranza; applicata qui a ciò che la tecnologia e la scienza non sanno, e riferita primariamente agli effetti passati e futuri delle loro invenzioni materiali e immateriali. L’ignoranza tecnico-scientifica, che propongo di chiamare per brevità tecno-ignoranza, designa ciò che gli addetti ai lavori – ricercatori, scienziati, tecnici, esperti – per primi non sanno, al meglio delle loro collettive conoscenze professionali; non già quella del pubblico che ignora, o si suppone ignori, quasi tutto di tecnologia e di scienza. Si riferisce a due grandi aree: l’area in cui i tecno-esperti non sanno nemmeno che cosa non conoscono (ignoranza a-specifica), e l’area in cui essi posseggono invece una nozione, pur vaga, di quel che non si conosce (ignoranza specifica). Ambedue queste aree di ignoranza abbracciano tanto il passato – il caso in cui quel che non si conosce è già accaduto – quanto il futuro: in questo caso quel che non si conosce deve ancora accadere. La tecno-ignoranza non va confusa con le usuali nozioni di rischio e di incertezza. Il rischio designa la probabilità, accertata su basi statistiche, che qualcosa accada a una determinata popolazione. È corretto dire, per esempio, che i forti fumatori corrono un rischio definito di contrarre un cancro ai polmoni, poiché le statistiche mediche dicono che il 10 per cento di essi incorre sicuramente in tale patologia. Ma stabilire chi esattamente, su 100 fumatori, sono quei 10 che contrarranno il cancro è materia di notevole incertezza, poiché le variabili in gioco sono numerose e interdipendenti: età, sesso, professione, ereditarietà, ecc. (…) le tecnologie (…), attraverso la loro diffusione – straordinaria per entità e velocità – hanno dato origine, nel volgere di pochi lustri, a processi assimilabili a una rete di sperimentazioni globali d’un ordine di grandezza senza precedenti. Rispetto a questo le attuali procedure di valutazione delle conseguenze possibili (…) si presentano essenzialmente inadeguate. E ciò tanto sotto il profilo metodologico quanto sotto il profilo del processo sociotecnico dal quale, alla fine, dovrebbero emergere politiche regolative. (…) Alla funzione originaria di mezzo di comunicazione senza confini, Internet e il web hanno finito per assommare quella di intricatissimi canali collettori e distributori di informazioni personali raccolte, oltre che attraverso gli accessi effettuati dall’utente, mediante una miriade di altri mezzi (…) Contemporaneamente sono aumentati di n volte il numero e la tipologia di informazioni pro capite che in modo consapevole o meno gli utenti immettono in rete. (…) Codesti sviluppi hanno fatto nascere due industrie dalle finalità contrapposte. La prima si occupa pubblicamente di «estrazione di dati» (data mining) dal web e dalle banche dati o circuiti che in vari modi sono collegati o – per mano di qualche esperto – collegabili a esso. (…) È questa l’operazione che possiede il massimo potenziale lesivo della privatezza. (…). I principali clienti di questa nuova industria estrattiva sono notoriamente le grandi imprese, che utilizzano i dati per costruire profili analitici di gruppi e sottogruppi di potenziali consumatori, in modo da confezionare iniziative pubblicitarie sempre più mirate. In posizione più defilata si collocano i governi, che in ogni caso operano anche intensamente in proprio come minatori e incrociatori di dati, di solito adducendo che lo fanno per ragioni di sicurezza nazionale, o tributarie. Infine chiunque può rivolgersi a una ditta di data mining (…). La seconda industria, che vede coinvolti in diversi paesi anche dipartimenti universitari, è nata dalla volontà di rendere difficile la vita alla prima. Essa fa ricerca su sistemi informatici capaci di assicurare la segretezza delle informazioni che transitano per Internet, l’inaccessibilità dei dati personali memorizzati, e l’anonimità di questi quando debbano essere utilizzati, da enti legittimamente autorizzati, in forma statistica. Quindi mette a disposizione la tecnologia software a tal fine elaborata di enti pubblici e privati, e anche di singole persone (se non hanno troppi problemi di costo) che intendano garantire la privatezza dei dati dei loro utenti. (…) Lo sviluppo della società della sorveglianza totale dovrebbe essere contrastato anzitutto sul piano delle politiche della 0tecnologia e della scienza. Lo scopo primario di politiche del genere (…) dovrebbe essere quello di ristrutturare l’area di ignoranza tecnica e scientifica che le circonda. Bisogna puntare a sapere che cosa non si conosce, e a valutare le conseguenze a lungo termine che quanto via via si giunge a conoscere può avere a carico della più ampia tipologia possibile di proprietà degli esseri umani e dei sistemi di supporto alla vita. Un impegno tanto generale andrebbe convenientemente articolato in compiti più specifici. Fra di essi metterei in primo piano:

  • Trarre partito dalle lezioni tardive degli avvertimenti precoci, (…)
  • Tenere nel debito conto le esperienze e competenze dei portatori di interesse, (…)
  • Destinare una quota importante di investimenti a programmi di ricerca sul lungo periodo, [in opposizione alla cultura di mercato], (…)
  • Cercare le conseguenze probabilmente già intervenute di una tecnologia, ma insospettate o invisibili, (…)
  • Guardarsi dalle estrapolazioni uno-molti derivanti da campioni inappropriati, (…)
  • Allargare l’orizzonte delle ricerche alle interdipendenze tra sistemi viventi e tra tecnologie, (…)
  • Non sottovalutare la «competenza collettiva», ossia la capacità di vasti gruppi di non esperti di formulare valutazioni aggregate che alla fine risultano corrette in misura pari o superiore a quelle di un esperto, (…)
  • Sviluppare teoria e pratica della conoscenza «socialmente robusta», [che cioè tiene conto di valori, aspettative, interessi, ecc, con un processo di contestualizzazione], (…)
  • Sviluppare teoria e pratica delle ricerche transdisciplinari. (…)

(…) l’approccio partecipativo si fonda sul presupposto che il pubblico, qualora gli sia dato modo di discutere ed esprimersi in forme e luoghi appropriati, sia atto a orientare gli esperti verso ciò che non sanno – l’area della tecno-ignoranza specifica – o non sanno nemmeno di non sapere – la tecno-ignoranza a-specifica. In tal modo la partecipazione contribuisce ad arricchire, complessificare e rendere cognitivamente più robusta la valutazione, conforme a quanto indicato sopra, oltre che socialmente legittimata. (…) Un nuovo contratto dovrebbe prevedere che la conoscenza scientifica – in primo luogo quella incorporata nella tecnologia – sia socialmente robusta, perché contestualizzata, e sia prodotta con modalità che la società civile reputa trasparenti e partecipative. Se intende diventare un oggetto culturalmente più sostanziale di quanto non sia una formula in voga per dire che va accresciuta la competitività economica, la società della conoscenza ha bisogno di far crescere, nei suoi molteplici e complessi significati, la democrazia della conoscenza scientifica e tecnologica.

(L. Gallino, “Tecnologie e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici”, Einaudi)