Negli algoritmi c’è politica

Luciano Gallino era molto netto:

Quello che interessi contrastanti portano a mettere in discussione non è (…) la conclusione di un processo decisionale, quanto la sua costruzione, ossia la considerazione dei suoi diversi elementi, l’analisi delle dimensioni di ognuno, l’utilità attribuita alle conseguenze. Ne deriva che non v’è altra soluzione al problema della credibilità se non quella di fare partecipare la maggior parte degli interessati, in specie quelli con interessi contrastanti, alla costruzione del sistema decisionale, e cioè, nel caso si usino tecnologie dell’informazione, alla progettazione dei sistemi informativi; all’elaborazione dei programmi, dei modelli di simulazione, dei piani per l’attuazione graduale di un sistema; al lavoro di razionalizzazione preventiva delle operazioni su cui si innesta l’alimentazione di un sistema informativo. Occorre rendersi conto che i linguaggi, le tecniche, la cultura dei sistemi decisionali sono un nuovo tipo di cultura politica; è impensabile che i prodotti di tale cultura siano accettati da chi non ha avuto modo di appropriarsene sulla base di richieste del tutto estranee alla razionalità delle nuove tecnologie. Ciò non significa, ovviamente, che tutti gli addetti di una grande azienda debbano partecipare ogni volta all’elaborazione di un programma che interessa di fatto un pugno di persone; significa piuttosto che se essi sono stati coinvolti gradualmente, come normale attività di lavoro, nell’elaborazione dei diversi programmi e modelli, si saranno appropriati in misura sufficiente della nuova cultura da considerare credibile anche un programma cui non hanno messo mano direttamente. In quanto non diffonde la cultura decisionale, l’acquisizione dall’esterno di software prefabbricati mantiene una tale frattura tra i decisori – coloro che comprendono che cosa sta dietro un programma, un modello, una memoria – e tutti gli altri, da frustrare in partenza ogni possibilità di sviluppo genuino del metodo democratico. (L. Gallino, “Tecnologie e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici”, Einaudi)