Descrivere le tecnologie digitali come prodotti sociali e svelarne le ambiguità in modo emancipato e con scopo emancipante è dovere politico-culturale di una critica radicale della "platform society", capace di decostruire mediante cortocircuti concettuali l'inganno tecno-liberista della "società della conoscenza sorvegliata".
Tendenza tecnico-economica caldeggiata – secondo la filosofia dei maker – da Eversman, che vi individua il cuore della propria teoria sul superamento del capitalismo in nome della produzione guidata dal consumo e dal valore d’uso:
La general purpose factory sarà infatti in grado di realizzare qualsiasi tipo di oggetto, trasformando i dati relativi ai processi produttivi e alle effettive esigenze di consumo in “cose” mediante procedure effettive.
[Questo] se attribuiamo al “regolare” la specificità delle azioni riconducibili alla poiesis e al “nuovo” la specificità delle azioni riconducibili alla praxis (con cui si intendono azioni che non possono e non devono essere automatizzate), e se scopriamo che nel capitalismo sono le merci a essere abitualmente prodotte per mezzo di algoritmi e che per questo motivo dovrebbero essere fabbricate da macchine (L.Eversmann, “Karl Marx nell’era digitale”, Luiss)