Afferma Paglen:
Il mondo invisibile delle immagini non è semplicemente una tassonomia alternativa alla visualità. È un esercizio di potere ingegnoso. La relazione tra immagini e potere nello scenario macchina- macchina è diversa da quella nel contesto della visione umana. La prima deriva dall’attuazione di due operazioni apparentemente paradossali. Innanzitutto, si individuano e si distinguono persone, luoghi e abitudini nel contesto controllato. Vengono quindi creati dei metadati specifici relativi a ogni singola persona sulla base di etnia, classe sociale, luogo di provenienza, prodotti consumati, abitudini, interessi, like, rete di amici e così via. Una seconda mossa consiste nel reificare quelle categorie, rimuovendo ogni ambiguità nella loro interpretazione, così che questi profili di metadati individuali possono essere resi operativi per riscuotere tasse municipali, adeguare premi assicurativi, effettuare pubblicità mirate, gestire la vigilanza della polizia, e così via. Il risultato finale è una società che amplifica la diversità (o meglio una diversità di metadati individuali), ma che lo fa proprio perché le differenziazioni dei metadati individuali agevolano l’incursione della capitalizzazione e del controllo della vita quotidiana. I sistemi di visione macchina- macchina sono straordinari strumenti intimi di potere che operano attraverso un’estetica e un’ideologia dell’obiettività. Ma le categorie che adottano sono studiate per reificare le forme di potere che con gli stessi sistemi sono chiamati a servire. Pertanto, lo scenario macchina- macchina forma un tipo di ideologia particolarmente nefasta, proprio perché si afferma come obiettiva ed egualitaria. (T. Paglen, “Immagini invisibili”, – “AI & Conflicts 01”, Krisis Publishing)