
Vespignani chiarisce che la predizione è una delle forme più sofisticate di controllo. Dal campo delle scienze (fisica, meteorologia, simulazione/progettazione ingegneristica) si è estesa a tutti quelli in cui gli individui fanno parte di un aggregato a cui è applicabile la teoria dei sistemi complessi e quindi alle scienze sociali. Ricorda che “l’accumulazione dei fatti non è scienza più di quanto un mucchio di mattoni non sia una casa“. Pertanto è necessario
fare buon uso della teoria che permetta di capire i meccanismi alla base dei
fenomeni [su cui abbiamo i dati e] bilanciare due approcci, contemperando, da una parte, l’universalità della comprensione dei sistemi complessi e, dall’altra, la specificità che ogni sistema presenta. La specificità deriva dai meccanismi che agiscono normalmente
all’interno del sistema cioè l’interazione, ad esempio, tra società e biologia quando parliamo di epidemie o tra società e conoscenza quando parliamo di contagio sociale dell’informazione o di fenomeni politici. Ci sono però alcuni elementi che possono essere guardati più da lontano per cercare di ricavare dei principi che siano più universali. Ad esempio, la teoria dei sistemi complessi è applicabile quando vi è un grande numero di agenti che interagiscono: guardando ad un singolo agente non riusciremmo a comprendere il sistema come fenomeno collettivo.
Ovviamente i meccanismi cambiano a seconda del sistema e quindi diventa fondamentale riuscire a capire ciò che è valido rispetto ai diversi sistemi, avere una teoria di quei meccanismi e poi riuscire a comporre insieme questi pezzi per capire l’evoluzione completa del sistema. Questo ragionamento ci porta all’aspetto dell’interdisciplinarietà, perché condurre una ricerca con queste caratteristiche comporta il lavoro di squadre che, dal punto di vista scientifico, possano impiegare strumenti di conoscenza molto diversi. (…) Appare quindi evidente come in questi campi parlare di scienza come attività del singolo scienziato sia fuorviante: questo tipo di ricerca oggi è condotta da squadre di persone e l’abbattimento dei muri disciplinari è estremamente importante. (…) Dobbiamo quindi capire come muoverci in questo mondo e quali sono i limiti etici delle previsioni. Negli ultimi anni si è discusso molto del tema della privacy rispetto ai dati, ma si tratta solo di un aspetto di una questione più vasta. Quando i nostri dati – anche in maniera rispettosa della privacy – vengono trattati da algoritmi che riescono a leggerli in maniera molto sofisticata, per ricavarne previsioni su individui o trend futuri, sono già in corso processi che possono toccare altri limiti etici. Fino a che punto è giusto prevedere il futuro? In che modo? Fino a quando? A quale livello di
granularità: il singolo individuo, la società di un Paese? Su una questione così complessa si spalanca un enorme territorio di interrogativi scientifici e si ripropone il tema dell’interdisciplinarietà. Non si tratta infatti di un campo di applicazione solo per fisici, biologi, epidemiologi o scienziati politici ma anche per giuristi e filosofi, perché tocca sfere molto delicate di quello che è il nostro mondo e il rapporto con noi stessi e la società.
Spesso quando si affrontano queste tematiche si fa riferimento ad un futuro lontano, ma è importante sottolineare come invece questi fenomeni siano già pienamente in corso e il tempo per analizzarli e capirli non è molto. Questo è vero anche per l’intelligenza artificiale, già superata dall’intelligenza aumentata: siamo già in simbiosi con la macchina, ognuno di noi attraverso lo smartphone, in questo momento, accede a informazioni e ad un potere computazionale che è mediato da algoritmi. I nostri stessi dati permettono all’algoritmo di cucirsi addosso a noi come un vestito e, allo stesso tempo, l’algoritmo ci restituisce cose che a noi fanno molto comodo. Si tratta di una simbiosi – l’algoritmo senza i dati che noi generiamo non riesce a migliorare e noi allo stesso modo senza queste macchine avremmo una vita meno facile –. Ci siamo fusi con la macchina, non come in certi film di fantascienza dove si vedono impianti di chip corporei, ma è ormai comune l’esperienza che in assenza del proprio smartphone le persone provano un bisogno quasi fisico, si sentono quasi come se mancasse un pezzo del proprio corpo. Nel quadro di queste evoluzioni, con le mappe del futuro che noi creiamo quando facciamo previsioni sulle epidemie – ma anche sulla politica e sui movimenti sociali – è come se la società acquisisse una capacità di guardare se stessa che è completamente nuova. È una forma di intelligenza collettiva che contempla i diversi possibili futuri esattamente come i singoli individui analizzano i possibili risultati delle azioni che
possono compiere, o non compiere, nella propria vita. Sono evoluzioni che suscitano interrogativi importanti e affascinanti, che vanno al di là delle mie dirette competenze disciplinari, e che per questo richiedono l’ampia collaborazione interdisciplinare di saperi diversi. (“Prevedere il futuro? Dati, modelli, sistemi complessi. Intervista a Alessandro Vespignani” – Pandora Rivista 3/2022)