(auto)Critica dell’accelerazionismo

Wark è netta:

Tutte (…) [le] specie di accelerazionismo hanno un’evidente omissione. Nessuno di loro ha molto da dire sull’Antropocene, anche se ho tentato un’autocritica in questo senso in Gamer Theory. È ironico che le scuole di pensiero con un entusiasmo meravigliosamente volgare per la tecnologia e la scienza non prestino attenzione a quella scienza guida del nostro tempo: la scienza del clima. Qui alcuni dei negazionisti sembrano almeno prestare effettivamente attenzione. Ma lì la tendenza comune è quella di trasformare il capitalismo eterno anche in un’epoca geologica: il “Capitalocene” (…) . Ciò di cui abbiamo bisogno è un altro asse, uno “spaziale” piuttosto che temporale. È la questione di come pensare sia le continuità che le partizioni tra natura e cultura, o ciò che Donna Haraway chiama natureculture. Rivisitare questo asse sembra opportuno, dato che una cosa che l’Antropocene potrebbe implicare è che non si può dare per scontato che esista una separazione tra storia naturale e storia sociale. (…) le lotte della classe hacker si sono riunite per un momento (…) in gruppi di attori cyborg umani e inumani collegati al progetto di accelerazione tecnica come liberazione. Ma è crollato nella serialità (…) dei social media, che è solo l’esperienza del consumatore finale di intere catene di interazioni con la stessa forma seriale [imposta dal vettore]. (McKenzie Wark,”Capital Is Dead: Is This Something Worse?”- traduzione in proprio)