Le ragioni dell’astrattismo dei primi algoritmi artistici generativi

Gallina è illuminante:

Per comprendere (…) bisogna considerare anche un’altra limitazione tecnologica: la mancanza di fotocamere digitali. (…) le macchine non sapevano ancora come “memorizzare” un’immagine. I CCD, cioè i sensori che permisero in seguito di realizzare le fotocamere digitali, sono stati inventati nel 1959. E la prima macchina fotografica digitale fu brevettata solo nel 1972. Perciò le fotocamere non fecero in tempo a entrare in gioco, alimentare nuove sperimentazioni e solleticare la curiosità degli artisti digitali [che non ebbero] a disposizione gli strumenti per “far vedere” al computer un tramonto, il nudo di una donna o una natura morta. Di conseguenza, gli algoritmi non ebbero la possibilità di interpretare la natura. Ma solo di creare dal nulla. Erano ciechi. In altre parole, l’astrattismo non fu una scelta concettuale, ma un corridoio obbligato, una forzatura procedurale dettata dai deficit tecnologici. E il fatto che i critici d’arte di quel periodo avessero incasellato il gruppo 3N [sperimentatori tedeschi degli anni Sessanta – NdR] in un filone legato all’astrattismo, è la cifra della superficialità con cui il loro lavoro venne interpretato dalla critica specializzata. Questa conclusione ha portata più ampia: quanto più complessa e cognitivamente impegnativa è una tecnica artistica, tanto più difficile è apprezzarla senza una conoscenza pregressa. (P. Gallina, “La protoarte dei robot. Quando l’arte, la robotica e l’intelligenza artificiale si intrecciano”)