Fraser teorizza che:
la produzione capitalista non è autosufficiente. La sua esistenza dipende da un libero utilizzo della riproduzione sociale, della natura, del potere politico e dell’espropriazione. Allo stesso tempo, il suo tendere a un’accumulazione illimitata minaccia di destabilizzare le sue stesse condizioni di possibilità. Nel caso delle sue condizioni ecologiche, ciò che è a rischio sono i processi naturali che sostengono la vita, fornendo gli input materiali per l’approvvigionamento sociale. Nel caso delle sue condizioni socio-riproduttive, a essere messi in pericolo sono i processi socioculturali che, nutrendo le relazioni solidali, le disposizioni affettive e gli orizzonti valoriali, sostengono la cooperazione sociale e producono degli esseri umani adeguatamente socializzati e qualificati per diventare «forza lavoro». Nel caso delle sue condizioni politiche, a essere compromessi sono i poteri pubblici, sia nazionali sia transnazionali, che garantiscono i diritti di proprietà, fanno onorare i contratti, dirimono le controversie, soffocano le ribellioni anticapitalistiche e mantengono l’offerta monetaria. Nel caso della dipendenza del capitale dalla ricchezza espropriata, messi a rischio sono l’universalismo professato dal sistema – e quindi la sua stessa legittimità – e la capacità delle classi dominanti di governare egemonicamente attraverso un mix di consenso e di forza. In ciascuno di questi casi, il sistema ha una tendenza intrinseca all’auto-destabilizzazione. Non riuscendo a reintegrare o a riparare le proprie sedi nascoste, il capitale continua a divorare gli stessi supporti da cui dipende. Come un serpente che si mangia la coda, cannibalizza le proprie condizioni di possibilità. (…) La lotta anticapitalista è dunque molto più diversificata di quanto i marxisti abbiano tradizionalmente supposto. Non appena spostiamo lo sguardo dalla scena principale al retroscena, tutte le condizioni di fondo indispensabili allo sfruttamento del lavoro diventano focolai di conflitto. Non solo le lotte tra lavoro e capitale al livello della produzione, ma anche le lotte di confine su temi quali il dominio di genere, l’ecologia, il razzismo, l’imperialismo e la democrazia. Altrettanto importante è che queste ultime, nel quadro qui delineato, appaiono sotto un’altra luce, come lotte condotte all’interno del capitalismo, attorno a esso e, in alcuni casi, contro il capitalismo stesso. (…) [In sintesi il ] capitalismo non è un’economia, ma un tipo di società caratterizzata da un’area di attività e relazioni economizzate distinta e delimitata da altre zone non-economizzate, da cui la prima dipende senza riconoscerle. Una società capitalista comprende un’economia distinta (e dipendente) da un sistema, o ordine, politico; un’area di produzione economica distinta (e dipendente) da una zona di «riproduzione sociale»; un insieme di relazioni di sfruttamento distinte (e dipendenti) da relazioni di espropriazione disconosciute; e una dimensione storico-sociale di attività umana distinta (e dipendente) da un substrato materiale di natura non umana. (N. Fraser, “Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta”)