Tecno-soluzionismo continuo nell’istruzione

Neil Selwyn è molto critico:

sembra che la tecnologia digitale abbia fatto ben poco per interrompere le gerarchie resilienti di tempo, spazio e luogo, così come i presupposti curricolarizzati della conoscenza, il primato della valutazione individuale e altre forme istituzionali consolidate di istruzione. D’altra parte, le forme dominanti di digitalizzazione che hanno preso piede nell’istruzione sembrano principalmente rafforzare e amplificare le “riforme aziendali” di scuole e università, sostenendo la strisciante standardizzazione della pratica, un affidamento su metriche e responsabilità basata sui dati e una maggiore enfasi sulle efficienze guidate dal mercato. (…) I sistemi educativi del Nord del mondo rimangono saldamente al passo con gli interessi istituzionali acquisiti e il mantenimento del potere amministrativo. (…) le scuole sono state posizionate come luoghi chiave nello sviluppo delle competenze tecnologiche “su richiesta” richieste dai giovani che entrano nella “gig economy” e in altre forme di lavoro precario. Abbiamo anche visto iniziative di educazione digitale nelle regioni a medio e basso reddito che cercano di sviluppare l'”imprenditorialità digitale” tra i giovani, ovvero programmi progettati per incoraggiare le capacità imprenditoriali guidate dalla tecnologia, “mezzi di sussistenza digitali” e fornire competenze digitali come opportunità di sviluppo con particolare attenzione all’uso delle tecnologie digitali per avviare imprese, garantire posti di lavoro e accedere a prodotti e servizi finanziari (…) le aspettative di una “correzione tecnica” educativa sembrano essere ulteriormente esagerate con ogni ondata successiva di tecnologia emergente. (…) il tecno-soluzionismo [delle “tecnologie carismatiche“] offre un mezzo di alto profilo e conveniente per i governi, le autorità educative e altre parti interessate per apparire sensibili ai complessi imperativi dello sviluppo sostenibile in modo schietto e innovativo. (…) le narrazioni dominanti del cambiamento tecnologico tendono a inquadrare le percezioni di ciò che è possibile esclusivamente in termini di tecnologia a disposizione (…) una continua enfasi sull’educazione digitale rischia di esacerbare i crescenti danni ecologici e ambientali associati alla produzione, al consumo e allo smaltimento della tecnologia digitale. (…) la tecnologia dell’istruzione deve essere riformulata come una questione politica, cioè guidata da valori che alcuni attori desiderano vedere realizzati, mentre si scontrano con i valori di altri. (…) dobbiamo reimmaginare l’educazione digitale secondo linee più radicali. In breve, abbiamo bisogno di trovare forme più raffinate di educazione digitale sostenibile che non perpetuino i danni alle persone emarginate e non siano aggiogate a presunzioni di continua crescita economica e/o dell’eccessivo e dannoso spreco di risorse planetarie (…) [Assumendo come valore e criterio l’eco-giustizia] potremmo scegliere di reimmaginare la tecnologia dell’istruzione secondo linee più “sostenibili”, in cui le allocazioni delle risorse digitali siano ripartite equamente e non svantaggino eccessivamente chi è già svantaggiato. (…) i paesi ad alto reddito potrebbero anche imparare guardando alle forme di innovazione educativa basata sulla tecnologia che si sono sviluppate (e talvolta fiorite) nei paesi, nelle regioni e nei contesti a basso reddito. (fonte: saggio allegato)