sciatGPT?

Non si fa in tempo ad ipotizzarne un uso e la sua verifica, che subito il gran conversatore presta il fianco al dubbio, perché si scopre che ha citato un libro a vanvera:

La soluzione del pensiero rosicale sarebbe: “Cosa ho sempre detto [al massimo con un megafono, non certo con a un microfono digitale]? Cosa ho sempre scritto [con la stilografica di famiglia, non certo con un wordprocessor]? La solita compromissione delle conoscenze! Basta con il digitale! Più gesso per tutt*!”. Una ghiotta occasione di conferma dei propri bias, per altro l’ennesima.

A me sembra più interessante – e critico – cercare di capire le ragioni della vanvera.

Bar del testo: il sublime chiacchierone si fa prendere dal gioco della riconosciuta autorevolezza – lui pontifica e l’interlocutore umano si limita a brevi ed ammirate domande -, per cui butta lì una citazione, senza preoccuparsi del fatto che qualcuno possa controllarla.

Effetto Rosenthal: in fondo siamo di fronte a un super-infante, un delfino destinato a succedere al re attuale, il motore di ricerca per parole chiave, e che come tale non può deludere, deve dare una risposta soddisfacente, non importa che corrisponda alla realtà. Cosa è meglio di un titolo iperbolico?

Sovrapposizione informativa: l’autore citato ha prodotto parecchi volumi su come scrivere correttamente e all’infervorato linguista artificiale può scappare di aggiungervi il libro di un altro, Massimo Baldini.

Interrogato direttamente, il controverso dispositivo mostra di propendere per la terza ipotesi, anche se l’incauta formulazione della domanda fa temere che anche in questo caso vi sia un tentativo di rispondere con un approccio fondato sulla presunta desiderabilità sociale – o forse sulla supercazzola, dal momento che contraddice la precedente affermazione sulla non conoscenza di alcun libro di Birattari: