Gioventù d’alveare

Non c’è nulla che riassuma la vita nell’alveare meglio delle considerazioni di Michelle Klein, direttrice del marketing di Facebook per il Nord America, che nel 2016, con grande entusiasmo, ha dichiarato pubblicamente che mentre un adulto medio controlla il proprio telefono 30 volte al giorno, il millennial medio lo fa più di 157 volte. E sappiamo già che la Generazione Z tiene un ritmo ancora maggiore. Klein ha descritto il modello di progettazione di Facebook “un’esperienza comunicativa sensoriale che ci aiuta a connetterci con gli altri senza dover distogliere lo sguardo”, riscontrando con soddisfazione quanto gli esperti di marketing possano trarne vantaggio. Ha poi sottolineato le caratteristiche di design in grado di ottenere un effetto tanto ipnotizzante: il design è una narrazione, è coinvolgente, immediato, espressivo, stimolante, flessibile e dinamico.

Se avete più di trent’anni, sapete che Klein non sta descrivendo la vostra adolescenza, o quella dei vostri genitori, e di sicuro non quella dei vostri nonni. L’adolescenza e la vita da giovani adulti nell’alveare sono una novità storica, modellata minuziosamente dalla scienza dell’ingegneria comportamentale; istituzionalizzata nelle grandi architetture complesse dei mezzi digitali di modifica del comportamento; supervisionata dal Grande Altro; diretta a economie di scala, scopo e azione con il fine di catturare il surplus comportamentale; finanziata dal capitale della sorveglianza, frutto di concentrazioni di conoscenza e potere senza precedenti. I nostri figli cercano di crescere in un alveare che appartiene e risponde agli utopisti pratici del capitalismo della sorveglianza, e che viene costantemente monitorato e modificato dalle forze del potere strumentalizzante. È questa la vita che vogliamo offrire ai membri più aperti, entusiasti, vulnerabili, autoconsapevoli e promettenti della nostra società?

(Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, capitolo 16)

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