Capitalocene

Jason W. Moore interpreta il capitalismo come una civiltà co-prodotta dagli esseri umani e dal resto della natura e perciò un’ecologia-mondo, unità dialettica di accumulazione del capitale, ricerca del potere e co-produzione della natura.

Più in generale, ogni civiltà è un dispositivo specifico di mobilitazione del lavoro − umano, ma anche vegetale, animale e geologico.

Questa visione supera il dualismo tra natura e società e afferma che tra specie e ambiente vi è una relazione creativa, generativa e multistrato (oikeios): Moore infatti concepisce l’ambiente non come esterno all’uomo e quindi come oggetto dell’attività umana, ma come processo di elaborazione ambientale, co-produzione dell’insieme della natura umana e di quelle extra-umane.

In questa visione, una politica della sostenibilità rivoluzionaria e radicale deve essere capace di riconoscere la tripartizione capitalista del lavoro: forza-lavoro, lavoro umano non retribuito, e lavoro complessivo della natura.

Il Capitalocene si fonda infatti su rapporti di valore, che comportano lavoro sociale astratto, produzione di merci, riproduzione socio-ecologica e appropriazione di lavoro non retribuito. Un modo di produzione teso all’infinita accumulazione di capitale richiede perciò costantemente nuove “nature non (ancora) capitalizzate”, per disporre dei “quattro fattori a buon mercato” (forza-lavoro, cibo, energia, materie prime) necessari al proprio funzionamento.

Questo approccio comprende nel processo di appropriazione da parte del capitale del lavoro non retribuito necessario all’accumulazione anche quello extra-umano. Definisce pertanto il concetto di natura sociale astratta: essa è frutto di semplificazione, razionalizzazione, omogeneizzazione, matematizzazione e quantificazione, allo scopo di ridurla a immagine del capitale medesimo. Questo modo di produzione, infatti, vuole costringere il resto del mondo a corrispondere al proprio desiderio di generalizzare il criterio dell’“equivalenza economica” come guida totalizzante dell’agire umano e della sua valutazione.

La storia del capitalismo è un susseguirsi di ampie rivoluzioni scientifiche che hanno co-prodotto nature storiche differenti all’interno e attraverso le varie fasi dell’accumulazione di capitale.

Il deterioramento della natura -così come il precariato, l’insicurezza sociale, il surplus di esseri umani– è perciò conseguenza dell’organizzazione capitalistica del lavoro, che è visto come processo geo-ecologico molteplice e multi-specista, mentre la tecnologia è fenomeno insito nelle nature co-prodotte dal capitalismo, che ha utilizzato integralmente il lavoro della natura: attività umana come lavoro retribuito e non retribuita e lavoro-energia della biosfera.

Successivamente, Moore scrive:

Il Capitalocene è un argomento geostorico che prende il cambiamento biogeografico e climatologico come un punto di partenza vitale. Presuppone il sistema-mondo moderno come un’ecologia-mondo capitalista di potere, profitto e vita. È una critica al riduzionismo economico, ma anche una critica all’approccio culturalista al capitale e alla classe. Infine, la formulazione Capitalocene insiste sul fatto che le origini della crisi planetaria non si trovano in un’“Europa” reificata. ma nell’emergere di una trinità capitalogenica durante il diciassettesimo secolo: il divario climatico di classe, l’apartheid climatico, il patriarcato climatico. Questi non sono i risultati del cambiamento climatico ma i suoi fattori determinanti. (…)  Da qui il duplice carattere dell’attuale crisi planetaria: una crisi della produzione di vita e una crisi del profitto (…) La critica del capitalocene mette in primo piano la demistificazione di feticci borghesi: Umanità, Natura, Società, Economia, Razza e genere in primis. (…) Si tratta di feticci che si elevano al livello di astrazioni dominanti, idee egemoniche che attraversano la longue durée del capitalismo. Queste idee guidano in furono praticamente i progetti borghesi che giustificano ideologicamente e rendono strumentalmente possibile l’accumulazione senza fine di capitale. (…)  La scienza borghese è particolarmente rilevante per dare un senso alla storia del capitalismo, compresa la storia di questi feticci. Tra i presupposti più corrosivi nelle discussioni sul clima di oggi c’è l’idea che il capitalismo sia una sottoinsieme dell’attività umana.

4 commenti

Lascia un commento