Sadin afferma che:
“insufficiente sarebbe sviluppare una teoria critica della normatività indotta dagli algoritmi, che non farebbe altro che constatare che esistono criteri poco chiari che determinano e agiscono sui nostri comportamenti. Queste osservazioni, già trite e ritrite, non solo sono diventate banali nell’analisi dell’influenza degli algoritmi sulle nostre vite, ma hanno anche il grave difetto di non rimettere mai in discussione il principio stesso del loro potere decisionale. A dispetto di queste posizioni passive e ormai assodate, ciò che conta è definire il principio stesso dell’estrema normatività formalizzata all’interno di sistemi cui è concesso definire la verità e avviare una serie di azioni, come qualcosa di inconciliabile con i valori che ci costituiscono. Non si tratta di cercare di sapere quali siano i principi operanti, o di allarmarsi continuamente per le distorsioni riguardanti i risultati, ma di decretare, alla base, che i protocolli che ci tolgono il potere di giudizio e di decisione sostituendosi alla nostra coscienza e alla nostra libertà di azione, devono essere considerati inammissibili. In altre parole, in nome della nostra eredità umanistica, è nostro dovere disporre del diritto di opporci, ovunque ci troviamo, ai meccanismi che mirano a imporre, a tutti i livelli delle nostre esistenze, un ordine unilaterale e infondato delle cose. Possiamo definirla un’etica in atto delle nostre convinzioni; o una salutare messa in pratica di una politica di legittima difesa“.