Il cooperativismo di piattaforma sperimenta all’incrocio tra (…) due modelli: le piattaforme digitali e l’impresa cooperativa. Ciò che ne risulta, la ‘cooperativa di piattaforma’, può prendere la forma di una cooperativa tradizionale, o manifestarsi come un fenomeno nuovo, idiosincratico e senza precedenti storici.
Se si volesse trovare una definizione – che per la peculiarità del fenomeno non può che essere temporanea – possiamo descriverle come imprese che utilizzano un sito web, un’app mobile o un protocollo per vendere beni o servizi, che si basano su un processo decisionale democratico e sulla proprietà condivisa delle parti interessate (…)
Ho inquadrato il concetto di platform cooperativism nel 2014, (…) ma ovviamente l’idea era già stata abbozzata in precedenza – probabilmente non in maniera mirata e senza il supporto di una rete globale che ne socializzasse l’idea – in Italia, in Spagna e in altri Paesi. Ciò è avvenuto in un momento particolare: la gig economy stava entrando a pieno regime negli Stati Uniti e allo stesso tempo cominciavano a diventare evidenti i problemi legati alla sharing economy. Il tutto mentre si susseguivano le ondate di scandali legati alle piattaforme social media sempre più ubique, che hanno lasciato impotenti gli utenti che dipendevano da questi servizi. Quindi, non è poi così sorprendente che il cooperativismo di piattaforma risuonasse con molte persone in quel momento. Le piattaforme digitali estrattive come Lyft e Uber commercializzavano la propria offerta servendosi di narrative ingannevoli che riecheggiavano un linguaggio ed uno spirito di controcultura, legato ai valori della condivisione e dell’economia solidale. ” (Who Owns the World? Il cooperativismo di piattaforma oggi. Intervista a Trebor Scholz – Pandora 3/2020).
Materiali sul cooperativismo raccolti da TWC.
Ivana Pais fa queste considerazioni:
Il dibattito sulla possibilità di costituire “piattaforme etiche” basate su logiche redistributive e cooperative, ben rappresentato dal movimento del platform cooperativism promosso da Trebor Scholz a partire dalla New School di New York, ha velocemente assunto una dimensione globale. Nonostante un certo dinamismo di queste forme di attivismo, le piattaforme alternative faticano a conciliare la sostenibilità sociale e ambientale con quella economica. Lontano dai riflettori di studiosi e attivisti, ci sono invece esperienze nate direttamente nell’ambito dell’innovazione della cooperazione che, con accentuato pragmatismo, stanno sperimentando ecosistemi digitali che incorporano meccanismi di funzionamento originali rispetto al modello-piattaforma sopra delineato. Queste esperienze potrebbero favorire una certa eterogeneità nel campo delle piattaforme che, finora, è stato caratterizzato da forte isomorfismo organizzativo. Le stiamo studiando, in questi mesi, con il progetto WePlat, che ha mappato un centinaio di piattaforme di welfare in Italia che mostrano forti elementi di specificità dettati dal radicamento nelle comunità territoriali e da un’attenzione particolare verso l’implementazione di dispositivi tecnici coerenti con le specificità dei servizi alla persona, soprattutto per soggetti in condizioni di fragilità.