Chiarisce Elena Esposito che
(..) I recenti processi algoritmici partono dall’intelligenza degli utenti per rielaborarne i risultati e operare in modo intelligente come partner di comunicazione, senza bisogno di essere essi stessi intelligenti.
Per poter partecipare alla comunicazione gli algoritmi devono accedere al web (…) la svolta si è realizzata solo dopo che i comportamenti umani sono andati online e hanno cominciato a produrre tutti i Big Data che gli algoritmi utilizzano. L’esempio emblematico è Google, che ha avuto tanto successo perché è stato il primo a adottare in modo sistematico questo tipo di approccio (…). L’algoritmo PageRank di Google ha “inventato” Internet così come lo conosciamo oggi. L’intuizione chiave dei suoi autori, Larry Page e Steve Brin, è stata stabilire quali pagine sono importanti e per chi, trascurando completamente il contenuto delle pagine stesse. Per prendere questa decisione, PageRank non cerca di capire di cosa trattano le pagine o come ne parlano, ma va invece a vedere quante volte sono state “linkate” e da chi. Il ranking (la lista di siti che l’utente riceve come risultato della sua richiesta) si basa sul numero di backlinks alle pagine (quante volte sono state segnalate da altri siti web) e sulla loro importanza. Una pagina è rilevante se è stata linkata da molte pagine importanti, cioè (circolarmente) da pagine con tanti backlinks.
L’intuizione alla base di PageRank sta nel rinunciare all’obiettivo di capire cosa dice la pagina e nell’affidarsi esclusivamente alla struttura e alle dinamiche della comunicazione. I creatori di Google non hanno cercato di realizzare un grande schema organizzativo per il web basato su consulenti esperti e competenti, così come facevano motori di ricerca concorrenti come AltaVista e Yahoo. Non hanno cercato di capire e costruire un algoritmo che capisse. “Hanno invece fatto in modo che tutti gli altri lo facessero per loro” (…) navigando in rete e creando connessioni. I contenuti entrano in gioco in seguito, come risultato della classificazione e non come premessa. Google usa i link per imparare non solo quanto è importante una pagina, ma anche di cosa tratta. Se i link a una determinata pagina utilizzano una specifica frase, il sistema deduce che la frase descrive accuratamente quella pagina e ne tiene conto per le ricerche successive. L’algoritmo è progettato per catturare e riflettere le scelte fatte dagli utenti (…). Come ha dichiarato John Gianandrea di Google, quando un utente fa una ricerca su Einstein, Google “non intende dirvi cosa è importante di Einstein – intende dirvi cosa l’umanità cerca quando cerca Einstein” (Hamburger 2012).
Questo sistema è stato poi ulteriormente sviluppato per tener conto non solo della popolarità, ma anche di altri fattori, come il comportamento dei clic degli utenti, il tempo di lettura o i modelli di riformulazione delle richieste (…). L’intelligenza del sistema però rimane l’intelligenza degli utenti, che l’algoritmo sfrutta per dirigere e organizzare il proprio comportamento. Google è diventato il prototipo di un approccio che si può trovare in altri progetti di successo sul web.
In un altro scritto, il giudizio dI Esposito è netto e sintetico:
(…) quando noi chiediamo al motore di ricerca delle informazioni, ossia di fornirci un ranking dei siti rispondente alle nostre esigenze, PageRank non cerca di interpretare i contenuti che trova, ma ricostruisce i movimenti dell’utenza sul web. Una pagina viene valutata interessante da PageRank a seconda di quante persone si siano collegate a quella pagina. Non solo, ma PageRank va a vedere che cosa hanno scritto le persone che si collegavano alla pagina, per capire di cosa quest’ultima tratti. Google si nutre quindi costantemente dell’attività degli utenti sul web per strutturare le sue ricerche e produrre un risultato, senza bisogno di capire che cosa dicano le pagine. Questo è un esempio significativo, perché ha segnato una pratica che si è molto diffusa anche oltre Google, tanto che si parla di “googlizzazione” a proposito dei tanti progetti che passano dall’intelligenza alla comunicazione, limitandosi cioè ad utilizzare parassitariamente il comportamento delle persone sulla rete anziché cercare di comprenderne i contenuti.