Riferisce Columbro che:
Secondo l’Internationaf Data Corporation, ovvero ìa prima azienda mondiale nata per fare ricerche di mercato, nel 2018 abbiamo prodotto 33 zettabyte di’dati, e si prevede che nel 2025 arriveremo a 175. Uno zettabyte è un miliardo di terabyte (…)
La maggior parte di questi dati sono prodotti dalle interazioni tra computer e hanno una vita breve: esistono solo per alcuni millisecondi prima di essere eliminati. Però ci sono circa 3,7 zettabyte di dati prodotti da noi esseri umani ogni anno, circa 117 gigabyte a testa, che vengono conservati. Il 25% ce l’ha Google (la percentuale più alta detenuta da una singola azienda), 1’1% ce l’ha Facebook. Nel 2025 questa cifra individuale sarà di almeno 300 gigabyte. Secondo un report dell’IDC produrremo infatti 1 dato ogni 18 secondi.
(…) L’economia dei dati vale circa 227 miliardi di dollari l’anno, e gli attori che si spartiscono gli utili più consistenti sono le grandi tech corporation (da Google a Facebook), i giornali che vendono pubblicità sui loro siti, e i data broker, aziende intermediarie che raccolgono dati sui consumatori da diverse fonti per poi rivenderli ad altre aziende.
In media, nel mondo i dati prodotti da un utente (…) valgono 1,18 DOLLARI AL MESE (le attività della nostra impronta e della nostra ombra digitale), ma nel 2025 questa cifra salirà a 2,36 dollari. Da cosa dipende? Da quanto siamo disposti a concedere in termini di dati e privacy ai servizi che utilizziamo. Per esempio alle compagnie assicurative che propongono sconti a fronte dell’installazione di localizzatori satellitari GPS a bordo dell’auto. Una volta entrate in funzione, queste specie di “scatole nere” registrano la posizione della tua macchina, i percorsi effettuati e la velocità di percorrenza. E più le aziende impareranno a sfruttare tali tecnologie più il valore dei dati comportamentali salirà.
Per chi raccoglie dati a scopo commerciale, è molto più interessante monitorare i tuoi comportamenti o interessi relativi a un prodotto piuttosto che le tue opinioni condivise su un social network. A quelle bisogna stare attenti da un altro punto di vista, quello della libertà di espressione, che deve essere garantita dalla Costituzione di ogni stato democratico. Però c è un’altra questione a cui le organizzazioni che si battono per il diritto alla privacy chiedono di stare attenti: i dati che cediamo alle piattaforme potrebbero finire nelle mani dello Stato? E se sì, qual è il giusto equilibrio tra libertà e sicurezza? (…)
Possiamo classificare così i dati raccolti dalle App usate quotidianamente:
- Dati degli utenti
- Dati rilasciati in modo volontario
- Dati osservati (per esempio tracciamento)
- Dati dedotti da osservazione dei comportamenti e caratteristiche demografiche
- Dati contestuali (ambiente operativo, intenzione procedurale)
- Dati di analisi (feedback pubblicitari)
- Dati di ricerca (stringhe e metadati)
- Dati raccolti da terze parti (raccolti e trasmessi da App usate direttamente)