Rodotà riprende una sentenza della Corte costituzionale tedesca del 1983 (BvR 209, 269, 362, 420, 440, 484/83) per chiarire la vocazione civile e politica della tutela della privacy.
La privacy (…) è stata costruita come un dispositivo «escludente» (…) per sottrarsi all’occhio del pubblico. Ma l’analisi delle sue definizioni mostra anche le sue progressive trasformazioni, che hanno fatto emergere un diritto sempre più finalizzato a rendere possibile la libera costruzione della personalità, l’autonomo strutturarsi dell’identità, la proiezione nella sfera privata dei principi fondamentali della democrazia. L’originaria definizione della privacy (…) [è] «diritto a essere lasciato solo» [e la] prima vera innovazione arriva con Alan F. Westin, che definisce la privacy come il diritto di una persona di controllare l’uso che altri fanno delle informazioni che la riguardano (…) la protezione si estende anche ai dati che il soggetto ha ceduto ad altri o che comunque si trovano in mano altrui. Poiché nella società dell’informazione si dice che «noi siamo i nostri dati», la possibilità di mantenere il controllo sulle proprie informazioni, ovunque esse si trovino, diventa uno strumento indispensabile per la tutela dell’identità personale, per proteggere la sfera privata nel suo insieme. Cambia, di conseguenza, anche la qualità delle definizioni della privacy. Si parla ormai di «tutela delle scelte di vita contro ogni forma di controllo pubblico e di stigmatizzazione sociale», in un quadro caratterizzato dalla «libertà delle scelte esistenziali» e dalla «libertà da vincoli irragionevoli nella costruzione della identità personale». Inoltre, poiché il flusso delle informazioni non riguarda soltanto quelle «in uscita» (di cui si vuole impedire la conoscenza da parte di terzi), ma anche quelle «in entrata» (rispetto alle quali si può voler esercitare il «diritto di non sapere»), la privacy si presenta anche come «il diritto di mantenere il controllo sulle proprie informazioni e di determinare le modalità di costruzione della propria sfera privata». E, considerando piuttosto gli aspetti «relazionali» della privacy, essa si presenta come «rivendicazione di limiti a difesa del diritto di ognuno a non essere semplificato, oggettivato e valutato fuori contesto». La privacy si colloca così anche nel quadro del «diritto all’autodeterminazione informativa», un punto definito fin dal 15 dicembre 1983 da un’innovativa sentenza della Corte costituzionale tedesca (BvR 209, 269, 362, 420, 440, 484/83).
(…) La forte tutela della sfera privata, quindi, non serve soltanto a garantirne la riservatezza, a sottrarla allo sguardo indesiderato, ma anche, e per certi versi soprattutto, a permettere che le convinzioni personali possano essere liberamente manifestate in pubblico. (…)
(…) La percezione sociale della privacy, che si era venuta costruendo a partire dalla fine dell’Ottocento, riguardava un aspetto soltanto della personalità di ciascuno: quello che si voleva tenere riservato, sottratto agli occhi dell’altro, inviolabile come una proprietà circondata da alte mura. Oggi la persona è integralmente coinvolta nelle dinamiche che caratterizzano la società dell’informazione e della comunicazione, e si trova al centro di un flusso continuo di dati di cui è, al tempo stesso, produttrice e destinataria. Deve poter governare questi flussi, non solo stabilire che cosa debba essere sottratto allo sguardo degli altri. Per questo si parla di dati «personali» da garantire nella loro integralità, ben al di là dello schema classico della tutela della vita privata. Sono in gioco la presenza nella sfera pubblica, le modalità della partecipazione politica, i rapporti personali, la stessa costruzione dell’identità. Cambiano i rapporti tra il cittadino e lo Stato, tra i consumatori e il sistema delle imprese, tra le stesse persone. Si modifica in questa maniera l’insieme delle relazioni sociali. Siamo di fronte a trasformazioni profonde, che possono rendere possibile, e già stanno favorendo, la nascita di una società della sorveglianza, del controllo, della classificazione, della selezione sociale. Possiamo concludere, allora, che attraverso la considerazione dei dati personali identifichiamo un aspetto essenziale della difficile democrazia del XXI secolo. (…).
Nel momento in cui l’identità si specifica come concetto relazionale, la protezione dei dati cambia di significato. Il social networking, le reti sociali, le cosiddette social presence technologies (YouTube, Facebook, Myface), emblema della nuova dimensione della rete, Internet 2.0, esprimono in modo radicale questo mutamento di punto di vista. Si va su Facebook per essere visti, per conquistare un’identità pubblica permanente che supera il quarto d’ora di notorietà che Andy Warhol riteneva dovesse divenire un diritto di ogni persona. Si alimenta il «pubblico» per dare senso al «privato». Si esibisce un insieme di informazioni personali, il corpo elettronico, così come si esibisce il corpo fisico attraverso tatuaggi, piercings e altri segni d’identità. L’identità «si fa» comunicazione.