Il termine è di Gerd Leonhard; lo registriamo per onestà intellettuale, ma non lo troviamo del tutto convincente, perché funziona sul piano del gioco sonoro, ma è sessista nel contenuto, perché fa risalire l’umanità alla mascolinità.
Il succo della nostra umanità (…) implica tutta una serie di cose in larga misura inosservate, non dette, inconsce, effimere e non oggettivabili. Sono queste le qualità umane che mi piace definire androritmi e che dobbiamo assolutamente preservare anche se, nel confronto con sistemi, computer e robot non biologici, ci comunicano un senso di goffaggine, complessità, lentezza, pericolo o inefficienza. Non dovremmo sforzarci di riparare, aggiustare, aggiornare o addirittura sradicare ciò che ci rende umani; piuttosto, dovremmo progettare un tipo di tecnologia che riconosca, rispetti e protegga queste differenze. Sfortunatamente, la lenta ma sistematica riduzione, e persino l’abbandono, degli androritmi (…) ha già avuto inizio. Tanto per fare un esempio, i social network ci permettono di creare profili a piacimento e di svagarci con finte identità, piuttosto che vedercela con quella che abbiamo nella vita reale, ovvero nel mondo fisico. Per quanto la cosa possa sembrare positiva, portata agli estremi potrebbe non rivelarsi affatto tale. Per quanto ci siano ovvie sovrapposizioni tra le nostre identità sui social network e nella vita reale, la qualità socializzante – faccia a faccia – incarnata dagli androritmi è sempre più spesso sostituita da schermate artificiose e algoritmi intelligenti (G. Leonhard – “Tecnologia vs umanità. Lo scontro prossimo venturo” – Egea)