Eversman riprende e attualizza Aristotele e per suo tramite contrappone autonomia e algoritmi:
quali sono, in linea di principio, i lavori automatizzabili, e quali no? Nell’ambito della sua teoria dell’azione, Aristotele si servì dei concetti di poiesis e praxis, provvidenziali nel delimitare idealmente le azioni automatizzabili, per quanto ai suoi tempi non esistessero ancora automi “semoventi”. Secondo Aristotele, la poiesis era il tipo di azione impiegata nella produzione di oggetti d’uso. In genere, le singole fasi dell’azione che (…) portavano alla produzione di un oggetto potevano essere descritte in modo preciso nella forma e nel contenuto. Primo, erano finite, si concludevano cioè con la realizzazione dell’oggetto; secondo, erano insegnabili; e, terzo, erano delegabili per principio a qualsiasi esecutore. La definizione aristotelica di azione poietica, dunque, coincide sostanzialmente con il più preciso concetto matematico di azione algoritmica, sebbene ancora del tutto sconosciuto allo Stagirita. Gli esecutori di un’azione poietica erano – tipicamente – schiavi, metechi e artigiani. L’azione della praxis, al contrario, non era né insegnabile, né trasmissibile, né tantomeno descrivibile per mezzo di algoritmi; inoltre, non perseguiva uno scopo esterno, ma era fine a sé stessa, come diceva Aristotele. Questo significava anche che non aveva una conclusione e che il suo valore non poteva essere calcolato in ore. La praxis era l’attività degli uomini liberi: un tipico esempio erano le occupazioni creative nel senso più ampio del termine, in campo scientifico o in quello delle arti, così come nella competizione sportiva o nell’esercizio di una funzione politica. È evidente la corrispondenza con le attività che, secondo il pensiero di Brynjolfsson, rimarranno da fare agli abitanti dell’Atene digitale: filosofia, poesia, gioco e sport, così come i rapporti interpersonali. Andrebbe annoverato anche l’intero settore dei servizi “superiori”, quelli cioè esclusi sia dall’ambito poietico, sia dalla produzione. Non tanto i servizi di fornitura (commercio all’ingrosso e al dettaglio, contabilità, marketing, amministrazione, banche eccetera) o servizi (servigi) alla persona, quanto piuttosto prestazioni qualificate, svolte di regola da (associazioni di) persone, come nel caso delle classiche libere professioni. Il concetto di praxis implica però una distinzione ancora più profonda dalla misurabilità della poiesis: a fare la differenza non è l’estrinseca utilità calcolabile, il valore pecuniario, bensì il valore intrinseco all’azione, intimamente opposto al bilancio commerciale e all’analisi comparativa dell’utile. Difficile da concepire in un’epoca in cui il calcolo venale è saldamente radicato nel pensiero. (…) Il ruolo centrale della fredda tecnica può sembrare una prospettiva sconcertante, ma sarà così: a condurci nella nuova era non saranno né il ravvedimento della malvagità dell’individuo (…), né una nuova coscienza della classe operaia, bensì questi mezzi materiali altamente sviluppati con il potere di rendere possibile, come prima cosa, lo sfruttamento del capitale reale. Ciò non significa che guadagnare denaro nel mezzo (…) della ricchezza senza denaro sarà obsoleto; lo si guadagnerà, però, attraverso il lavoro pratico, in senso aristotelico: un lavoro in cui l’essere umano si senta tale, non una macchina. Un lavoro che crei davvero valore, vincolato alla persona, alle sue competenze e prospettive, e al suo sentimento, sensibilità, pensiero e aspirazioni. In altre parole: lavoro non alienato, da essere umano a essere umano. (L.Eversmann, “Karl Marx nell’era digitale”, Luiss)