Delfanti chiarisce:
(…) Amazon è ben più che una semplice azienda di e-commerce (…) Amazon Web Services (AWS) è il maggior fornitore di spazio web e di cloud computing al mondo; (…) giganti come Netflix, Pinterest, Airbnb e Uber si appoggiano ai suoi server. Amazon sviluppa anche una serie di tecnologie software commerciali, come il servizio di pagamento online 1-Click. Poi c’è Amazon Mechanical Turk (AMT), un servizio che permette alle aziende di impiegare lavoratori da remoto per svolgere mansioni che i computer non sono in grado di compiere, come individuare il contenuto di una foto, la taggatura e la ripulitura dei dati oppure scrivere le descrizioni dei prodotti. La piattaforma scompone queste mansioni e le esternalizza avvalendosi di una forza lavoro distribuita: chiunque abbia un computer e una connessione Internet può lavorare per AMT. Con il suo programma Rekognition (…) Amazon vende tecnologia di sorveglianza ai governi. E poi produce gadget digitali come l’e-reader Kindle e il tablet Fire. Il suo speaker Echo per la domotica consente di utilizzare Alexa, un assistente virtuale sostenuto da algoritmi in grado di processare il linguaggio naturale. Amazon, inoltre, possiede e gestisce una piattaforma streaming, Prime Video, e grazie agli Amazon Studios ricopre oggi un ruolo importante nella produzione di film e serie tv. Possiede anche Amazon Go, una catena di supermercati completamente automatizzati. Le sue numerose altre sussidiarie spaziano dalla piattaforma di game streaming Twitch alla catena di supermercati biologici Whole Foods. (…) un dollaro speso per far funzionare AWS genera dieci volte più profitto di un dollaro speso nelle altre imprese del gruppo. (…) i centri logistici e i servizi (…) fatturano di più rispetto ad AWS, ma non sempre sono redditizi. AWS, invece, garantisce un massiccio flusso di denaro che permette all’azienda di espandere la sua operazione e-commerce principale costruendo senza sosta nuovi magazzini in tutto il mondo e assicurandosi in tal modo una posizione di quasi-monopolio (…) Amazon investe la propria potenza economica anche nel cambiamento tecnologico, [per] influenzare profondamente il modo in cui lavoriamo; e non soltanto nei suoi magazzini, ma nella società stessa. (…) dalla diffusa robotizzazione dei suoi FC alla schiera di algoritmi che monitorano i dipendenti ed estraggono dati preziosi dal loro lavoro, Amazon è davvero implacabile quando si tratta di incrementare il tasso di innovazione tecnologica nei propri magazzini. Di conseguenza, altre aziende stanno adottando tecnologie simili per cercare di stare al passo e soffiarle la posizione dominante nel mercato. Nuove tecnologie, più sofisticate e più pervasive, ma anche più dipendenti e più precarietà. Altrettanto inarrestabile è la circolazione di miliardi di merci che attraversano il globo per convergere nei suoi magazzini (…) Il loro movimento dev’essere ininterrotto, veloce, efficiente. (…) In questa equazione, le lavoratrici e i lavoratori rappresentano il fattore più problematico, quindi devono essere attentamente controllati e governati per evitare che rallentino o persino arrestino il flusso delle merci. Amazon è l’avanguardia del capitalismo digitale: eccelle nell’utilizzo della tecnologia per massimizzare l’accumulazione privata di potere e capitale. Ma proprio perché la forza lavoro riveste un ruolo così cruciale, Amazon è anche in prima linea in un’offensiva globale ai suoi danni, alimentata dalla tecnologia che progetta e utilizza nei magazzini. In questo senso sono state fatte scelte ben precise in funzione del controllo (ai limiti dell’ossessione), della velocità e, ovviamente, dei soldi. L’infrastruttura tecnologica punta a sfruttare la manodopera, non a emanciparla. (A. Delfanti, “Il magazzino. Lavoro e macchine ad Amazon”)
