Sovranità sovrapposte

Intreccio tra la potenza virtuale dell’oligarchia digitale e potere reale degli Stati e degli organismi sovrannazionali, da una parte, e tra cyberattacchi e sicurezza nel rapporto tra istituzioni pubbliche e soggetti privati dall’altra.

La sicurezza, in  particolare, sta diventando un mercato e una priorità militare, senza però che nessun governo la assuma come propria responsabilità nei confronti della comunità dei cittadini.

Simoncini afferma che ICT, neuroscienze e genomica

“utilizzano un nuovo tipo di potenza, che ha sostituito tanto l’idea di potere o sovranità privata (tipica dell’epoca moderna), quanto l’idea di potere o sovranità politica (propria dell’epoca contemporanea). Oggi assistiamo all’affermarsi di una nuova “fenomenologia della sovranità”, intesa come potenza tecnica o tecno-economica, che si esprime nella proprietà e nell’utilizzo di macchine governate da algoritmi, in grado di svolgere operazioni di computazione ad una velocità che continua a crescere in maniera esponenziale (cd. Legge di Moore) eccedendo ormai qualsiasi capacità umana”.

Osserva Ricciardi:

(…) vale la pena sottolineare il fatto che la “pratica computazionale riflette lo squilibrio sociale: più precisamente, essa è classificata [classed]”[:]  (…) opera una continua classificazione tanto del sapere sociale quanto degli individui.  (…) La società-mondo rimanda a una geografia dei poteri (…) nella quale ogni singola impresa per quanto grande e potente deve comunque negoziare la propria politica di potenza con lo Stato globale. (…)  all’interno della società-mondo crescono e si confrontano diverse concentrazioni di potere che non possono essere ricondotte alla logica individualistica che caratterizzava l’antica società civile con la sua pretesa di omogeneità. (…). Muta ma non scompare, di conseguenza, anche l’analogia strutturale tra l’impresa capitalistica e lo Stato (…) La mutata costituzione della grande impresa capitalistica investe lo Stato globale e la sua sovranità che tende a funzionare come una piattaforma che genera per i suoi cittadini identità contingenti e non necessariamente legate alla loro volontà. (…).
La complessa e variegata geografia temporale dei Clouds risulta costellata di emergenze sovrane. Il doppio movimento per cui lo “Stato si sposta nel Cloud”, mentre i “Clouds diventano de facto Stati” è caratterizzato dall’assunzione da parte dei primi di funzioni sovrane, perché nel loro spazio virtuale essi sono in grado esercitare un monopolio della cittadinanza legittima, stabilendo regole inderogabili di appartenenza. È così vero che, avendo una proiezione potenzialmente planetaria che lo Stato sembra non avere, il cloud assume funzioni direttamente geopolitiche, ma da ciò non risulta immediatamente che ci sia uno scontro per la sovranità tra piattaforme e Stato. Se si coglie il carattere globale che lo Stato stesso sta assumendo, un carattere che lo vincola molto più alle sue funzioni amministrative internazionali che non al suo territorio, è possibile dare ragione di un movimento più complesso per cui “gli Stati stanno divenendo piattaforme Clouds”. D’altra parte, non è solo l’evidenza empirica che nega lo scontro di sovranità tra Stati e grandi piattaforme cloud. (…) Ciò impone di non leggere il loro rapporto come un “feudalesimo cloud”, che risolve il problema del nesso tra sovranità e algoritmo riportandolo a un momento anteriore allo Stato stesso. La tendenza per cui le “politiche [si stanno] sconnettendo dagli Stati, gli Stati dai territori e i territori dall’immagine di consumo di piattaforme governanti” non indica solo una tendenza alla deterritorializzazione dell’appartenenza, ma anche della sua ridefinizione in funzione della centralità del valore. (…) A essere messa a valore è la gerarchia societaria che diviene un presupposto necessario della produzione sociale e non viene percepita come una formazione storica, transitoria, anacronistica. Da questo punto di vista bisogna prendere sul serio l’interconnessione di lavoro e vita, che non può essere oggetto di una radicale semplificazione che considera la tecnologia come una sorta di perversione della natura umana sociale. Il sistema sociale non è concepibile senza la scienza, esso è necessariamente anche un sistema tecnologico in cui la tecnica in quanto ‘universale evolutivo’ è sì parte integrante della produzione delle gerarchie societarie, ma anche la condizione di possibilità di una cooperazione non gerarchica. La critica della rivoluzione del capitale può in altri termini solo essere una critica pratica della tecnologia della società che la determina come presente assoluto e indiscutibile.

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