Nella società del rendimento tecnoliberista sono “sans phrase” anche il lavoro e il consumo: l’impresa tecnocratica è indifferente al prodotto in quanto tale e i consumatori sono indifferenti rispetto alle condizioni di produzione imposte ai lavoratori e/o all’impatto ambientale.
Come osserva Demichelis, inoltre:
(…) nel tecno-capitalismo (…) un orizzonte da oltrepassare per conoscere e per accrescere il sapere non esiste più, non esiste il futuro né la progettualità, non esistono isole sconosciute, ma si naviga incessantemente nel senso di un fare/osare/oltrepassare non l’orizzonte della conoscenza ma quello della competenza/innovazione (…). Il mare/avventura/navigazione si chiude dentro uno schermo e diviene apparentemente (ma solo apparentemente) illimitato e infinito (…). Il concetto di limite (fisico, culturale, etico) scompare – ma solo perché la realtà è virtuale e lo schermo è trasparente; ma questo suo scomparire (che illude di illimitato e di volontà di potenza narcisistica e pigmalionesca) è del tutto funzionale alla illimitatezza/accrescimento dello scopo (l’accrescimento di sé, appunto) dell’apparato tecno-capitalista. Che non conosce né accetta limiti (morali, di responsabilità, di democrazia, di giustizia sociale) – perché limiterebbero appunto la sua volontà di potenza [nichilista] .
Già Siva Vaidhyanathan, per altro, si domandava quali potessero essere le implicazioni sociali e politiche della dipendenza – a livello sempre più globale – della conoscenza umana da un’unica azienda, Alphabet, attraverso Google Search.
[…] delle infrastrutture, d’Errico mostra di ignorare bellamente che – pur nel contesto liberista della vocazione della “buona scuola” e della formazione mainstream– esistono […]
"Mi piace""Mi piace"