App del focolare

Argomenta Paola Rudan in Riproduzione sociale e tecnologie del dominio: capitale, dominio maschile, mobilità:

La Social Reproduction Theory (..) individua nell’avvento dell’industria l’origine della divisione sessuale del lavoro che assegna esclusivamente alle donne le mansioni riproduttive. È stata l’industria che ha privato la sfera domestica della sua funzione produttiva e quindi le donne del ruolo che avevano storicamente svolto all’interno del processo di produzione.
Questa lettura presenta alcuni limiti (…) anche se enuncia la distinzione tra riproduzione “sociale” e “societaria” – quindi tra l’insieme di attività che rientrano nella specie del lavoro riproduttivo e la riproduzione della totalità dei rapporti sociali esistenti – essa tende a trascurare questa seconda accezione, concentrandosi invece sulle attività – pagate e non pagate, svolte dentro e fuori le mura domestiche – che riguardano la produzione quotidiana della vita e le attività di disciplinamento della forza lavoro, come l’educazione. In secondo luogo, e di conseguenza, la differenza sessuale finisce per essere rilevante soltanto finché coincide con la divisione sessuale del lavoro, mentre non le viene riconosciuta particolare importanza (…) all’interno del processo di produzione. Infine, non viene dato particolare peso al modo in cui proprio la rivoluzione industriale – con l’introduzione delle macchine nel processo di produzione – ha creato le condizioni per la messa al lavoro delle donne all’interno del processo produttivo immediato, in mansioni non necessariamente definite dalla divisione sessuale del lavoro ma comunque in condizioni subalterne.
(…) paradossalmente rischia[no] di passare in secondo piano (…) il carattere sessuato della merce forza-lavoro e, di conseguenza, il processo di produzione sociale della differenza sessuale come subordinazione che presiede tanto alla divisione sessuale del lavoro quanto alle gerarchie che organizzano lo sfruttamento. Il problema è quindi di pensare come il dominio maschile agisca a livello societario, diventando un fondamentale ingranaggio operativo del rapporto sociale di capitale. In questa prospettiva, le innovazioni tecniche che hanno coinvolto e tutt’ora coinvolgono il lavoro delle donne possono essere considerate espressione di una specifica tecnologia societaria, parte integrante del processo di produzione e riproduzione del sistema sociale capitalistico.
(…) La forza lavoro (…) è una merce sessuata. Il processo della sua produzione e riproduzione (…) riguarda (…) anche la sua costante sessuazione, la sua specifica valorizzazione sessuale. (…) [Infatti,] mentre sono identificate con il sesso, le donne sono anche lasciate nella più totale ignoranza in merito alla sua importanza e al suo significato. (…) la repressione del desiderio sessuale femminile trasforma il corpo della donna in una merce che le si oppone come un potere estraneo, determinando la sua posizione nel mercato e lo spazio legittimo dei suoi movimenti all’interno della società.
(…) nell’ordine simbolico patriarcale è il fallo che costituisce la misura del valore sociale delle donne e le colloca all’interno di uno scambio sessuale di cui gli uomini sono i soggetti esclusivi. Questo scambio stabilisce il valore delle donne-merci in rapporto agli uomini che scambiano, e determina così la posizione subordinata come madri, mogli, prostitute. Il lavoro sociale del simbolico maschile ha quindi in primo luogo l’effetto di identificare le donne con le loro prestazioni riproduttive, obbligandole nel ruolo prescritto dalla divisione sessuale del lavoro, e in secondo luogo di integrarle nel mercato del lavoro in una posizione subalterna proprio perché marchiate simbolicamente dalla ‘piena disponibilità’ imputata loro dal processo sociale della loro valorizzazione sessuale (…)
Questo regime di valorizzazione sessuale non è semplicemente un prodotto del modo di produzione capitalistico, ma è piuttosto un fattore storico che il capitale ha incorporato assoggettandolo al proprio regime di storicità e alle proprie dinamiche riproduttive. (…) La violenza sessuale razzista ha (…) un ruolo essenziale nell’affermazione della società capitalistica, e quel ruolo non si limita alla sua fase aurorale. Essa è parte di quel lavoro sociale del simbolico che investe la società nel suo complesso, determinando le posizioni sessuate degli individui all’interno di un sistema gerarchico di dominio e sfruttamento.
(…) la rivoluzione industriale è un momento evolutivo del capitale, nel quale l’innovazione tecnica che ridefinisce a partire dall’impiego delle macchine l’organizzazione della produzione riconfigura i rapporti di dominio esistenti – patriarcato e razzismo – rendendoli funzioni organiche del sistema sociale capitalistico. Questo processo di incorporazione non può essere pensato secondo uno schema progressivo. (…) Il patriarcato cambia nel suo incontro con il capitale nel mercato mondiale, e mutano le forme istituzionali e ideologiche che riproducono l’identificazione della donna con le sue funzioni procreative. (…)
A partire da queste premesse è quindi possibile prendere in esame alcuni casi studio che espongono condizioni tanto eterogenee quanto interconnesse di messa al lavoro delle donne considerando gli effetti di alcune innovazioni tecniche – le piattaforme digitali che governano il lavoro domestico e di cura, le trasformazioni del diritto che regolano i rapporti di lavoro domestico salariato e le modalità specifiche di messa al lavoro delle donne migranti nella produzione di merci high tech – sull’incorporazione operativa del dominio maschile e del razzismo nel rapporto sociale di capitale.
(…) L’utilizzo delle app per organizzare il lavoro domestico e di cura è un fenomeno recente ma che sta conoscendo una rapida diffusione, coincidente con la crescita costante della domanda di lavoro domestico e di cura in ogni parte del mondo. (…) la piattaforma digitale si inserisce offrendo due tipi di servizi: quello tipico di un’agenzia per l’impiego temporaneo oppure quello – più diffuso – che crea le condizioni per l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro senza tuttavia organizzarlo direttamente. Si calcola che negli Stati Uniti nel 2017 la piattaforma Care.com abbia registrato 9,2 milioni di ‘utenti’ (dal lato dell’offerta di lavoro). Di questi, il 95% erano donne, il 50% di colore e fino al 40% migranti, con o senza documenti. Soprattutto quando le piattaforme si limitano a organizzare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro diventa fondamentale l’attività di profiling, ovvero l’autopromozione delle lavoratrici attraverso biografie e video di presentazione. Il rapporto di lavoro – soprattutto nei casi delle attività di babysitting e cura degli anziani – può diventare continuativo ma non diretto: la piattaforma controlla la comunicazione tra datori di lavoro e lavoratrici – che può avvenire soltanto attraverso la app e all’interno di fasce di tempo limitate – e prevede delle multe qualora la sua mediazione sia bypassata I sistemi di rating sono fondamentali per scalare la classifica dell’occupabilità e sono generalmente a senso unico, poiché le lavoratrici non hanno la possibilità di valutare i datori di lavoro.
(…) [bisogna] riconoscere che (…) la divisione sessuale del lavoro (…) è parte di un regime patriarcale di riproduzione della vita che è capitalistico nella misura in cui serve a comprimere i salari non soltanto dei lavoratori che vengono prodotti e riprodotti dal lavoro delle donne, ma anche quelli delle donne stesse, tanto più se il razzismo, la necessità di rinnovare un permesso di soggiorno o quella di sfuggire all’espulsione incrementano la loro disponibilità al lavoro. La sovrasessuazione delle donne determinata dal lavoro sociale del simbolico maschile è un ‘fattore costituzionale’ del rapporto di capitale e non un suo effetto contingente, né può essere considerato soltanto come una discriminazione sul posto di lavoro – la violazione di criteri di uguaglianza stabiliti formalmente – poiché è al contrario una delle fondamentali condizioni politiche del suo sfruttamento. In questa cornice, l’innovazione tecnica determinata dalla messa al lavoro delle donne tramite piattaforme come Care.com incorpora il principio patriarcale di organizzazione della società capitalistica e lo riproduce intensificandone l’efficacia.
Significativamente, queste piattaforme sono state definite come “l’internet delle cose che tua madre non vuole più fare”, e questa definizione prende atto del processo di sostituzione innescato dal rifiuto della divisione sessuale del lavoro massicciamente praticato dalle donne. Insieme allo smantellamento e alla monetizzazione del welfare, è stato proprio questo rifiuto che ha determinato una crescente salarizzazione del lavoro domestico e di cura, che è stato possibile in primo luogo attraverso la messa al lavoro delle donne migranti e che ora viene in parte riorganizzato dall’economia delle piattaforme. Se è vero che “l’algoritmo impara dall’esperienza”, è possibile affermare che quest’esperienza è quella segnata dalla sistematica connessione operativa tra patriarcato e razzismo dentro alla società del capitale. La società, in altri termini, è il database dell’algoritmo che regola l’economia domestica delle piattaforme, il quale non a caso riproduce tanto la divisione sessuale del lavoro, quanto la sua gerarchizzazione lungo la linea del colore. (…) negli Stati Uniti sono soprattutto donne bianche e latine quelle impiegate nelle attività di cura alla persona come il babysitting, mentre le donne nere sono prevalentemente richieste per i lavori di pulizia (…)
L’economia delle piattaforme (…) può essere considerata una forma di governo della mobilità, (…) per ricondurre all’ordine chi, in modi diversi, rifiuta la posizione imposta dal dominio maschile e dal razzismo, dalla divisione sessuale del lavoro e dall’organizzazione transnazionale della produzione, come le donne e i migranti. Tra questi strumenti vi è indiscutibilmente il diritto, a sua volta parte di una tecnologia societaria che fa leva sulla precarietà dello status giuridico o sull’informalità del rapporto di lavoro per intensificare il comando su di esso. (…) applicazioni come Care.com obbligano le lavoratrici ad adeguarsi alle richieste di utenti che hanno nelle loro mani il potere di valutarle tramite operazioni di rating dalle quali può dipendere completamente la quota di salario che riceveranno la prossima settimana. (…) Se oggi il lavoro riproduttivo delle donne può essere considerato in qualche misura paradigmatico, non è tanto perché tutto il lavoro mette a valore qualità relazionali, affettive o cognitive che non hanno un corrispettivo salariale, ma perché quello che Maria Mies ha definito “addomesticamento” [housewifization] del lavoro – la sua informalizzazione e individualizzazione, che riproduce la condizione di isolamento delle “casalinghe” – è il ‘programma’ di una tecnologia societaria di riproduzione del rapporto di capitale di cui il diritto, come le piattaforme, sono un’espressione.
(…) Misurare la società alla luce delle sue innovazioni tecniche significa riprodurre la logica dello “sviluppo”, condannando all’invisibilità o all’irrilevanza politica quelle condizioni di lavoro che appaiono “anacronistiche”, ma che sono in realtà leve fondamentali della riproduzione societaria. Non si tratta evidentemente di negare le trasformazioni di volta in volta introdotte dall’innovazione tecnica, ma di considerare che quest’ultima incorpora il potere sociale e lo riproduce nel momento in cui estende il comando del capitale. (…) una protesta contro le piattaforme che governano la gig economy rischia di essere neutralizzata dalle tecnologie del capitale se si limita a reclamare diritti per una categoria, senza contestare il dominio maschile e il razzismo che quelle tecnologie continuano a produrre come condizioni indispensabili della riproduzione del capitale come rapporto sociale.

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