Intervistata da Into the black box, Ursula Huws chiarisce che:
Penso che sia sempre pericoloso cercare di raggruppare i lavoratori in categorie troppo ampie, così come in egual modo sia pericoloso generalizzare troppo la posizione di classe di questi lavoratori. I processi lavorativi sono in continua evoluzione, e quindi anche le identità professionali dei lavoratori che svolgono queste professioni. Nel processo si creano nuove potenziali forme di conflitto tra i diversi gruppi di lavoratori, così come emergono nuove potenziali basi di alleanza.
Ciò che mi sembra importante è guardare alle identità dei lavoratori in due modi diversi, anche se interconnessi.
In primo luogo, in relazione a quella che Marx avrebbe chiamato la loro “posizione di classe oggettiva” – che forma di valore sta producendo il loro lavoro? Sono in un rapporto conflittuale diretto con un capitalista? Quale merce viene prodotta? In che modo questo lavoro è legato a quello di altri coinvolti nella produzione o distribuzione di quella stessa merce o di altre simili? Come si potrebbe utilizzare un’alleanza con altri lavoratori lungo la stessa catena del valore per rafforzare la loro posizione contrattuale? E viceversa?
In secondo luogo, qual è la loro “posizione di classe soggettiva”? Come vedono se stessi e con quali altri gruppi si sentono allineati? Come viene plasmata da fattori culturali? Dall’etnia? In che modo i loro ruoli di consumatori, o genitori, sostengono o sfidano ciò che percepiscono essere nel loro migliore interesse come lavoratori. Una volta che abbiamo un quadro così differenziato, e comprendiamo le sue contraddizioni interne e le dinamiche del cambiamento, possiamo allora cominciare a guardare quali forme di azione sono possibili, e in quali configurazioni di alleanze.
L’esperienza ci dice che il processo di azione in opposizione ai capitalisti con cui si impegnano nella loro vita quotidiana (soprattutto nel rifiuto di fare ciò che questi capitalisti chiedono loro di fare) è di per sé trasformativo.
La “coscienza di classe” si forma in primo luogo nella realizzazione dell’alienazione dai prodotti del proprio lavoro e in secondo luogo nella partecipazione a una lotta che rende visibile il modo in cui gli interessi del capitalista si oppone ai propri. (…)
le tecnologie delle piattaforme hanno permesso di far rientrare nell’ambito del mercato (e quindi sotto la disciplina del capitalismo globale) una serie di attività di riproduzione sociale che in precedenza venivano fornite con altri mezzi – attraverso servizi pubblici, attraverso il lavoro dei dipendenti privati o attraverso il lavoro non retribuito svolto dai membri della famiglia o dalle loro famiglie allargate o dai vicini. (…)
durante la pandemia abbiamo assistito a una serie di sviluppi che potrebbero prefigurare ciò che verrà in futuro.
In primo luogo, c’è stata una rapida crescita della manodopera logistica necessaria per portare le merci ordinate online nelle case dei consumatori. Questo ha accelerato tendenze già evidenti.
Tra queste, la sostituzione della vendita all’ingrosso per la fornitura al dettaglio – con la consegna delle merci dai magazzini piuttosto che dai negozi – ha portato a una crescita della manodopera impiegata nell’imballaggio e nel picking, generalmente gestiti in maniera molto rigorosa tramite tecnologie digitali e talvolta robot (esemplificati dal magazzino di Amazon) a scapito di un lavoro nei negozi più orientato al cliente che comporta una comunicazione interpersonale (e che può anche essere accompagnata da una diversa caratterizzazione di genere della forza-lavoro).
Un’altra tendenza è una forte convergenza tra i diversi settori coinvolti nella fornitura di consegne “dell’ultimo miglio”. Questa convergenza crea sovrapposizioni tra i lavoratori tradizionalmente sindacalizzati (come i fattorini delle poste o i lavoratori impiegati dai supermercati per fare le consegne a domicilio) e quelli che non hanno nemmeno lo status di dipendenti – per non parlare delle rappresentanze sindacali – come i fattorini delle consegne di generi alimentari e i corrieri.
Durante la pandemia c’è stata anche una convergenza tra le piattaforme, ad esempio nel Regno Unito gli autisti di Uber sono sempre più spesso obbligati a consegnare cibo per Uber Eats piuttosto che fornire servizi di taxi via UberX, e ai lavoratori di Deliveroo viene chiesto di consegnare merci da negozi e ristoranti.
Contemporaneamente, i lavoratori dei magazzini e della logistica sono stati identificati pubblicamente in molti paesi come “lavoratori essenziali”, rendendo il loro lavoro (e i rischi fisici che corrono nello svolgimento di questo lavoro) molto più visibile che in passato. Questo sembra creare le basi per nuove forme di alleanza tra questi lavoratori che potrebbero portare a nuove forme di organizzazione, contrattazione collettiva e rappresentanza politica.
Allo stesso tempo, l’enorme crescita del lavoro da casa tra i colletti bianchi, il cui lavoro può essere svolto con mezzi digitali attraverso la videocomunicazione, ha reso visibile un insieme di punti in comune tra questi lavoratori. È probabile che il lavoro a distanza diventi sempre più comune, con effetti contraddittori – da un lato creando un maggiore isolamento (…), dall’altro generando una sempre maggiore familiarità con i nuovi mezzi di intercomunicazione.
Ciò che accomuna la forza lavoro “mobile” degli addetti alla logistica con la forza lavoro “statica” dei lavoratori essenziali che operano in spazi collettivi (come ospedali, fabbriche o impianti di trasformazione alimentare) e la forza lavoro “frammentata” di quelli che lavorano in parte o interamente da casa loro, è una crescente probabilità di una stretta sorveglianza e di una gestione digitale. Questi punti in comune potrebbero creare le basi per nuove forme di organizzazione e di azione incentrate sull’ottenimento di diritti digitali per tutti i lavoratori.
Infine, la pandemia sembra aver dato il via a una nuova ondata di organizzazione e di azione tra i diversi lavoratori di tutto il mondo. La necessità che i governi intervengano per far rispettare l’isolamento e fornire mezzi di sussistenza ai lavoratori in congedo ha messo in luce l’ipocrisia della pretesa neoliberale che “non c’è alternativa” al mercato, rendendo evidente non solo che lo stato nazionale svolge un ruolo importante, ma che questo ruolo comporta scelte politiche che possono essere influenzate dall’azione popolare.
In secondo luogo, la divisione del mercato del lavoro tra lavoratori ‘stabili’, ‘mobili’ e ‘frammentati’, messa recentemente in luce dai discorsi sui lavoratori ‘essenziali’ e sui rischio pubblici, ha richiamato l’attenzione sul fatto che i lavoratori che stanno correndo i maggiori rischi sono anche quelli con i contratti più precari e i più mal pagati e, in molti Paesi, sono anche quelli più probabilmente appartenenti a minoranze etniche e di colore.
La recrudescenza della sindacalizzazione e degli scioperi tra i lavoratori precari ha trovato punti di convergenza, in molti luoghi, con la rabbia espressa dal movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti. La novità di questi movimenti è stata il forte ruolo svolto dalle nuove tecnologie nel modo in cui sono stati organizzati, ad esempio l’uso degli smartphone per registrare la violenza della polizia e l’uso dei social media per diffondere queste prove. Tutto ciò è stato a sua volta collegato a un livello di solidarietà internazionale senza precedenti. In questa solidarietà risiede la nostra speranza per il futuro.