Così Aloisi e De Stefano definiscono:
[i mutamenti intenzionali] che investono una nuova forza lavoro diversa, disomogenea, dispersa, che già oggi si confronta con le (nuove?) regole della tanto decantata “quarta rivoluzione industriale”. (…) [e] che rendono uniforme, invisibile e impotente il lavoro umano: dall’organizzazione algoritmica alla sorveglianza capillare, passando per il cottimo digitale dei lavoratori “loggati” o dei “bidelli” dell’internet. (…) [Si rende anche necessario] allargare il campo dell’inquadratura, includendo soprattutto le persone, e non solo le tecnologie, che sono coinvolte nel processo di accelerazione digitale.