Comunicazione artificiale

Elena Esposito propone una tesi molto interessante:

(…) sta diventando ormai evidente che i concetti basati sulla riproduzione dell’intelligenza, che tuttora guidano l’interpretazione del­l’operato degli algoritmi, non sono più adeguati per comprendere e controllare i recenti sviluppi. L’innovazione tecnologica richiede un’innovazione concettuale (…)
(…). Oggi si parla più di algoritmi che di computer,2 si dà per scontato il riferimento al web (compresa la partecipazione attiva degli utenti) e si parte dall’assunto che i dati da elaborare non siano scarsi ma piuttosto sovrabbondanti. A cosa sono dovuti questi cambiamenti? Le novità dipendono da due fattori collegati tra di loro (…)
Il primo è l’enorme progresso del machine learning (…) gli algoritmi sembrano essere capaci non solo di imparare, ma di imparare da soli: decidono autonomamente che cosa apprendere e come.
La seconda novità (…) sono i cosiddetti Big Data (…) [a proposito dei quale] c’è un generale accordo sul fatto che(…) [siano legati alla] diffusione del web 2.03 (..) Si tratta di una serie di innovazioni nelle tecnologie di programmazione, che hanno consentito di creare pagine web più dinamiche, aperte ai contributi e agli interventi dei loro visitatori, i quali partecipano direttamente alla creazione dei contenuti. Ciascuno di noi produce moltissimi dati, in modo volontario o in modo automatizzato (…); lo facciamo con il nostro comportamento, con la navigazione e le scelte che facciamo sul web, con la partecipazione ai social media, ma anche con tutti i dati rilevati dai servizi gps o dal cosiddetto Internet delle cose.
Il risultato di queste innovazioni è che ora gli algoritmi che le utilizzano sembrano essere diventati intelligenti. Sono capaci di fare sempre più cose e sempre meglio, e in particolare riescono a svolgere dei compiti che in precedenza erano prerogativa degli esseri umani (…)
(…) Gli algoritmi stanno realizzando il sogno dell’ia? Molti osservatori ne sono convinti, in riferimento anche al fatto che gli algoritmi sono ormai capaci di superare il test di Turing (…). Oggi le macchine [lo] superano di continuo (…), ma in un modo che dovrebbe farci riflettere. In moltissimi casi tutti noi comunichiamo con degli algoritmi (…) Anche quando sappiamo che il nostro partner è una macchina, poi, di solito non ci badiamo. Molti di noi fanno conversazione con assistenti personali digitali come Siri o Alexa (…)
Le macchine hanno imparato a comunicare?
(…) Se si guarda come lavorano i recenti algoritmi si vede che l’intelligenza non è il punto né lo scopo. Le macchine riescono a fare cose strabilianti non perché sono finalmente diventate intelligenti, ma paradossalmente proprio perché non cercano più di esserlo – fanno qualcos’altro. Si potrebbe dire che i progressi che osserviamo oggi non segnano il trionfo dell’Intelligenza artificiale, ma in pratica l’abbandono del progetto che ci stava dietro. (…) Un esempio evidente, e spesso discusso, sono i programmi di traduzione automatica, che oggi funzionano molto bene – da quando i programmatori hanno smesso di cercare di insegnare agli algoritmi le diverse lingue e le loro regole. (…) Usando machine learning e Big Data si limitano a trovare dei pattern e delle regolarità in enormi quantità di testi nelle lingue trattate (per esempio i materiali multilingua della Commissione europea), e li usano per produrre dei testi che risultano sensati – per le persone che li leggono. Non per gli algoritmi, che non li capiscono, come non capiscono niente dei contenuti che trattano, e non ne hanno bisogno. Allo stesso modo i correttori ortografici correggono gli errori tipografici in qualsiasi lingua, senza conoscere queste lingue né le loro regole (…) gli assistenti digitali come Alexa o Siri parlano con noi senza capire il significato delle parole che pronunciano, (…)
Le macchine non hanno imparato a ragionare come noi. Al contrario non cercano più di farlo, e proprio per questo funzionano così bene. (…) La mia ipotesi è che questa differenza non sia una debolezza, ma la radice stessa del successo di queste tecnologie. (…) l’elaborazione digitale delle informazioni è riuscita a raggiungere i risultati che vediamo oggi quando ha abbandonato l’ambizione di riprodurre in forma digitale i processi della mente umana. È vero che gli algoritmi superano il test di Turing, ma se ci pensiamo è un test molto strano: in effetti non misura l’intelligenza delle macchine ma la loro capacità di fungere da partner di comunicazione competenti e informativi. Il progetto dell’Intelligenza artificiale ha condotto a costruire macchine che non hanno imparato a diventare intelligenti, ma a fare un’altra cosa, che gli esseri umani fanno sulla base dell’intelligenza: hanno imparato a partecipare alla comunicazione. Piuttosto che di Intelligenza artificiale, potremmo parlare di una forma inedita di “comunicazione artificiale”. (Dall’Intelligenza artificiale alla comunicazione artificiale, in Aut Aut 392)