Rodotà ci fa riflettere sul fatto che:
(…) il diritto deve fare i conti non solo con un mutamento culturale, ma soprattutto con una radicale trasformazione di un suo storico paradigma di riferimento, quello della naturalità.
L’innovazione scientifica e tecnologica, segnando il passaggio da situazioni dominate dal caso a situazioni governate dalla scelta (basta pensare alla materia della riproduzione), ha avuto l’effetto di mettere in evidenza la scomparsa di leggi «naturali» che, per la loro immodificabilità, esoneravano dall’obbligo di pensare ad una possibile legge «giuridica» in quel settore.
Nel momento in cui questo paradigma viene superato, ci si chiede se al posto della legge naturale debba esservi soltanto la regola scientifica oppure se vi sia bisogno della regola giuridica. (…)
il diritto deve prendere le mosse [da questa nuova situazione di libertà, anche giuridica], riconducendola all’insieme dei principi e dei valori dell’ordinamento e valutando quale debba essere la sua misura. Questo implica l’abbandono di una impostazione dicotomica e riduzionista, stretta tra il sì o il no al diritto, a favore di strategie differenziate, che possono prevedere l’assenza di interventi limitativi (ma si tratterebbe pur sempre di una libertà «presidiata» e garantita dal diritto); graduare limiti e divieti; preferire una «proceduralizzazione» della libertà di scelta, specificando, ad esempio, modalità di informazione dei soggetti che devono scegliere, pause di riflessione prima della decisione definitiva.
(…) Oltre che organizzarsi intorno a valori e principi, il diritto può scegliere la via (…) delle norme destinate a tramontare e ad essere sostituite ad una scadenza predeterminata, prevedendo così un obbligo del legislatore (o di altri soggetti) di riconsiderare la materia; o del depotenziamento della regola, preferendo il ricorso al soft law, che tuttavia può avere il duplice vantaggio di consentire l’avvio di una disciplina sperimentale e flessibile e la partecipazione dei soggetti interessati alla sua produzione. (…)
L’influenza non distruttiva dell’innovazione scientifica e tecnologica sul diritto [è testimoniata dal fatto che parafrasando] il titolo di un saggio di Steve Toulmin, «come la medicina ha salvato la vita dell’etica», si potrebbe dire [inoltre] che informatica e biologia hanno salvato il diritto privato.
(…) l’innovazione scientifica e tecnologica ha posto il problema della considerazione integrale della persona in un ambiente profondamente mutato: diventa così ineludibile il tema della riduzione a merce del corpo e delle sue parti. L’impostazione solo patrimoniale appare inadeguata o addirittura distorcente, e vengono restituite autonomia e rilevanza ad un tipo di riflessione propriamente giuridica che prenda le mosse da valori diversi, in particolare quelli della dignità e dell’eguaglianza.