App2App: pochi diritti e molti vincoli

Huws illustra

i sintomi di un cambiamento radicale (…): l’emergere di forme di organizzazione del lavoro in cui è sempre più probabile che i lavoratori comunichino con i propri datori di lavoro o clienti tramite interfacce digitali. Ciò implica la perdita del contatto diretto faccia a faccia con un manager di linea che caratterizzava la maggior parte delle forme di lavoro tradizionali, comportando così un’incapacità di negoziare direttamente e una perdita di voice da parte del lavoratore. L’inserimento di un’interfaccia digitale tra il lavoratore e il manager spoglia delle ultime vestigia di umanità la “gestione delle risorse umane”. Quale lavoro dovrebbe essere svolto e come dovrebbe essere ese guito è dettato impersonalmente in modalità “prendere o lasciare”. Man mano che le
attività diventano più standardizzate e le loro prestazioni aumentano le probabilità di essere monitorate o registrate digitalmente (a volte potenziate dal tracciamento spaziale, utilizzando il GPS), diventa sempre più facile raccogliere dati su ogni dettaglio delle prestazioni dei lavoratori. Questo (…) consente di fissare obiettivi e valutare i lavoratori sul come riescono a raggiungerli. Le valutazioni degli utenti diventano parte di insiemi di dati più ampi che vengono utilizzati in queste nuove forme di valutazione algoritmica. E più dati vengono generati, più questi processi diventano sofisticati, in un circolo vizioso in cui la gestione digitale genera ulteriore standardizzazione, obiettivi più precisi e ulteriore gestione digitale. (…) Il dover lavorare per obiettivi fa ormai parte dell’esperienza comune di una vasta gamma di lavoratori, dagli insegnanti ai dirigenti, dagli addetti ai call center alle cameriere, dai grafici ai tassisti. (U. Huws, “Cosa è successo nel mercato del lavoro? Piattaforme digitali e politiche pubbliche”, Sociologia del lavoro, 163-2022)

[Il rapporto di ricerca qui sopra incorporato] avrebbe potuto disporre chiare linee guida per definire il lavoro genuinamente autonomo, scrivendo chiaramente le obbligazioni dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati. Ciò che ha scelto di fare, invece, è di intorbidire ulteriormente le acque proponendo deroghe alle regole esistenti, proponendo eccezioni che potrebbero essere dannose non solo ai lavoratori impiegati in lavori occasionali, ma anche per altre tipologie di lavoratori, inclusi quelli che si trovano all’interno di un rapporto di lavoro subordinato. Una delle principali raccomandazioni è quella di stabilire una nuova forma intermedia di impiego, “una categoria intermedia in grado di includere rapporti occasionali e autonomi su cui applicare un insieme limitato di diritti fondamentali”. (…) quando vengono definite nuove tipologie di impiego (come, ad esempio, lo status di “collaboratore eterorganizzato” presente in Italia) non soltanto queste finiscono per ridurre la protezione per le “nuove” forme di lavoro che vengono incluse, ma, ed è
ancora più importante, vengono estese al resto della forza lavoro andando ben oltre quei gruppi di lavoratori per cui è stata pensata, finendo così per determinare un generale peggioramento delle condizioni di lavoro. In altre parole, ciò che queste forme intermedie di impiego fanno è offrire ai datori di lavoro un ulteriore strumento di precarizzazione e di erosione dei diritti (ibidem)