Espressione ripresa da Francesca Musiani
[e impiegata all’origine per sottolineare] come gli assetti umani e organizzativi condividono delle proprietà proprie alle infrastrutture tecnologiche (…), è stata utilizzata molto recentemente in pubblicazioni relative al lavoro umano che sottende le intelligenze artificiali (…) al fine di mostrare a che punto sia centrale, nei processi quotidiani di organizzazione, gestione e archiviazione di grandi moli di dati, il coinvolgimento umano – in tutte le sue sfaccettature, al di là di attori più “riconoscibili” nel processo di innovazione quali i core developers, gli sviluppatori informatici impegnati dall’inizio nel processo di concezione e sviluppo, o gli amministratori delegati che sono il volto pubblico delle loro aziende. L’uso di questa nozione è anche, attraverso una concettualizzazione dell’essere umano come infrastruttura, un modo di fornire una prospettiva che permetta la discussione di questioni etiche critiche riguardanti le condizioni di lavoro, e di questioni epistemologi
che, legate all’intelligenza artificiale. Ricercando alcune proprietà che gli STS [science and technology studies– NdR] hanno identificato come ricorrenti nelle infrastrutture – relazionalità, radicamento, invisibilità – nei modi in cui gli esseri umani sono “in rete” in seno agli ecosistemi digitali, questa concettualizzazione sembra essere pro mettente nelle sue intersezioni con gli studi sul digital labor, in quanto apre molteplici strade per analizzare la posizione degli esseri umani all’interno delle piattaforme e degli algoritmi che oggi costituiscono una parte sempre più importante delle tecnologie digitali. (“Infrastrutture digitali, governance e trasformazioni del lavoro”, di Francesca Musiani – Sociologia del lavoro, 163-2022 – DOI: 10.3280/SL2022-163004)