Nella definizione di à
la smart factory [è] “resiliente”: la fabbrica “autonoma” che può fare “cose a partire dai dati” con l’impiego minimo di lavoro umano e, quindi, a basso costo. (…)
[Comprende]
– la fabbrica autonoma, intelligente: una black box che crea cose a partire dai dati inviati dai consumatori;
– sistemi di produzione cyber-fisici (Cpps) in cui sono i pezzi stessi a controllare la loro produzione;
– il gemello digitale, cioè la simulazione virtuale delle funzioni e dei processi di produzione di un bene;
– fabbriche multifunzionali, modulari, configurabili ad hoc, installabili e collegabili con estrema flessibilità;
– la produzione di articoli unici (batch size one) su commissione;
– cloud manufacturing e manufacturing as a service, cioè l’utilizzo di singoli processi produttivi come servizi separati;
– l’intelligenza artificiale;
– il computer quantistico;
– la rete 5G;
– l’Internet delle cose (IoT);
– la robotica;
– la stampante 3D, e per finire…
– …il collegamento di reti ad alta velocità che permettono di connettere i centri di produzione locali formando un’unica rete orientata alla creazione di valore, e di controllarla a seconda delle priorità. (L. Eversmann, “Karl Marx nell’era digitale”, Luiss)