Descrivere le tecnologie digitali come prodotti sociali e svelarne le ambiguità in modo emancipato e con scopo emancipante è dovere politico-culturale di una critica radicale della "platform society", capace di decostruire mediante cortocircuiti concettuali l'inganno tecno-liberista della "società della conoscenza sorvegliata".
Con riferimento critico a Orwell, Gerovitch definisce neolingua
la fusione di concetti scientifici, filosofici e ideologici nei discorsi politici e accademici del tardo periodo stalinista. (…) Una strategia popolare era quella di tracciare un confine tra il “contenuto oggettivo” della conoscenza scientifica e il suo significato filosofico. (…) interpreto l’ideologia sovietica non come un insieme essenziale di credenze in qualche modo imposte dall’alto alla comunità scientifica, ma come un linguaggio flessibile di negoziazione che coinvolge il Partito (…) Contrariamente a Orwell, sottolineo la flessibilità piuttosto che la rigidità di questo linguaggio ideologico [che non serviva a] esprimere semplicemente un’ortodossia prestabilita; al contrario, l’uso sapiente del neolinguaggio permetteva di manipolare l’ideologia e, in una certa misura, di definire ciò che era consentito in un contesto sovietico. Linguaggio manifestamente dogmatico e allo stesso tempo sorprendentemente flessibile, il neolinguaggio non incarnava la verità; ha fornito meccanismi per negoziare la verità. Il linguaggio ideologico del dopoguerra aveva due componenti principali, due ricchi repertori, che si completavano a vicenda: il linguaggio politico della guerra fredda e il linguaggio filosofico del materialismo dialettico. La terminologia filosofica serviva da ponte tra la scienza e la politica. (…) Imparando la neolingua, gli scienziati acquisirono gli strumenti retorici necessari per rimodellare le idee scientifiche, legittimare la propria posizione e screditare i propri oppositori. (…) I filosofi sovietici, che sin dagli anni ’30 erano stati coinvolti nel controllo ideologico della comunità scientifica, spesso servivano da mediatori tra scienziati e politici, traducendo teorie scientifiche in linguaggio ideologico per i politici e trasformando slogan politici in programmi di ricerca per gli scienziati. La neolingua è emersa al nesso di discussioni scientifiche, filosofiche e politiche, legandole inestricabilmente insieme. La neolingua divenne una lingua di negoziazione per scienziati sovietici, filosofi, politici e funzionari governativi, fornendo un mezzo per tradurre senza soluzione di continuità la scienza in filosofia in ideologia in politica e viceversa. (…) Gruppi rivali di scienziati hanno tradotto le stesse teorie scientifiche in ideologemi opposti. Hanno trasformato le proprie teorie scientifiche in ideologemi positivi, come “oggettività”, “praticità”, “dialettica” e “materialismo”. Allo stesso tempo, hanno tradotto le teorie dei loro avversari in ideologemi negativi, come “oggettivismo”, “utilitarismo”, “idealismo”, “meccanicismo” e “metafisica”. Gli esiti delle dispute scientifiche dipendevano spesso dalla padronanza della neolingua dei contendenti e dalla loro capacità di eseguire una traduzione ideologica. La fondamentale indeterminatezza della traduzione ideologica, tuttavia, rendeva spesso difficile prevedere quale traduzione avrebbe funzionato meglio e quale parte avrebbe vinto in un dibattito ideologico (Slava Gerovitch – “From Newspeak to Cyberspeak: A History of Soviet Cybernetics” – traduzione in proprio)