Bertola e Quintarelli individuano le caratteristiche della tecnopolitica della Repubblica popolare cinese che la collocano da tempo fuori dall’egemonia culturale occidentale:
- misure tecniche per controllare il traffico internazionale e per rendere inaccessibili ai propri cittadini molte piattaforme globali
- conseguente mercato nazionale dei servizi digitali quasi interamente separato dal resto di Internet.
Questa strategia, date le sue dimensioni demografiche ed economiche, ha fatto della Cina la seconda industria di internet, a fronte della colonizzazione statunitense della gran parte del resto del pianeta.
[Viene utilizzato il cosiddetto Great Firewall,] una complessa infrastruttura di controllo, (…) però, la Cina non si è affatto chiamata fuori da Internet; utilizza tranquillamente la stessa tecnologia (…), sparge per la propria rete oltre trecento milioni di indirizzi IP pubblici e dispone di servizi digitali all’avanguardia, che esporta anche in molte parti del mondo. (…) oltre un miliardo di cinesi ha una connessione Internet in casa, spesso a larga banda; un miliardo e duecento milioni di cinesi, oltre l’80 per cento della popolazione, ha un cellulare. Ogni giorno, i cinesi usano Internet per lavorare, informarsi, chiacchierare, giocare, discutere, comprare (…); anzi, in alcuni di questi settori la Cina è più avanti (…). Per esempio, è il maggior mercato mondiale, nonché uno dei maggiori produttori, nell’industria multimiliardaria dei videogiochi interattivi in rete; inoltre, i cinesi pagano normalmente i propri acquisti direttamente con il cellulare, tramite app come WeChat e Alipay che hanno oltre un miliardo di utenti, avendo saltato completamente il passaggio intermedio delle carte di credito. Cosa cambia allora? Per prima cosa, cambiano i servizi: dato il protezionismo e il blocco dell’accesso ai dominatori occidentali, i cinesi usano le loro alternative nazionali. Al posto di Amazon, c’è Alibaba; al posto di Facebook e WhatsApp, WeChat; al posto di Telegram, QQ; al posto di Twitter e di WordPress, Weibo; al posto di YouTube, Youku-Tudou; al posto di Google, Baidu. (…) Non si tratta affatto di brutti surrogati; in realtà, la dimensione del mercato interno cinese è tale che semplicemente grazie alla clientela domestica ognuna di queste aziende è diventata un colosso, sia economico che tecnologico, quasi alla pari con quelli americani. In effetti, non tutti i servizi occidentali sono completamente bloccati; Microsoft Bing, per esempio, è accessibile in Cina, ma lo usano in pochi, semplicemente perché Baidu è tagliato sulle esigenze locali. In questo modo, la Cina non ha dovuto affatto rinunciare allo sviluppo tecnologico ed economico, nemmeno come prezzo da pagare per mantenere la presa sulla propria società e sulla circolazione delle informazioni; anzi, ha trasformato la necessità di controllo in un punto di forza. (V. Bertola – S. Quintarelli, “Internet fatta a pezzi. Sovranità digitale, nazionalismi e big tech”)