Come sintetizza Giuseppe Ricotta:
[secondo Boaventura de Sousa Santos] è necessario riportare al centro della riflessione sociologica la “linea abissale” che separa due tipi di sociabilità: un “tipo metropolitano” e un “tipo coloniale” (… ). Per sociabilità Santos fa riferimento alle forme prevalenti assunte dalle relazioni sociali in un dato contesto storico e geografico, (…) che determinano inclusione ed esclusione sociale. Il progetto moderno occidentale si è costruito sul tipo di sociabilità metropolitano, fondato sulla metafora del contratto sociale e sulla tensione tra meccanismi regolatori, necessari per garantire l’ordine nel sistema sociale, e spinte emancipatrici per l’inclusione nel solco dei diritti civili, sociali e politici di fasce sempre più ampie di popolazione. (…) Ragionando in termini di sistema-mondo, tuttavia, a partire dal secolo XVI un altro tipo di sociabilità si è strutturato al lato di quella metropolitana: la sociabilità coloniale. Quest’ultima è regolata dalla tensione tra violenza – intesa come distruzione fisica, materiale, culturale – e appropriazione – intesa come incorporazione, cooptazione, assimilazione (…). Nelle relazioni sociali di tipo coloniale, l’esclusione sociale è abissale in quanto gli esclusi non possono realisticamente reclamare i loro diritti, non essendo considerati pienamente umani. La teoria eurocentrica (…) ignora la sociabilità coloniale o, meglio, la riproduce come non-essere. La razionalità eurocentrica (…) diviene pensiero abissale, non riconoscendo come contemporaneo quanto avviene nei contesti caratterizzati da sociabilità coloniale. Da qui la difficoltà del pensiero critico marxista e degli stessi partiti di sinistra del Nord globale a mettere a fuoco, comprendere, rappresentare forme di conflitto non classificabili entro le categorie di classe sociale, di confitto tra capitale e lavoro formalmente libero. Il pensiero critico occidentale è rimasto fermo all’emancipazione nel mondo del lavoro libero (…). Ma è stata una storia situata nel tempo e nello spazio. Dall’altra parte della linea, vi è stato il lavoro forzato delle colonie prima e vi è il lavoro forzato delle ex-colonie oggi. Se, infatti, questa linea abissale nasce con il colonialismo, non finisce con la fine del colonialismo storico, ma permane nella fase post-coloniale, trasformandosi ed entrando con prepotenza all’interno delle stesse società europee nel momento in cui la globalizzazione egemonica ha oscurato le promesse di progresso, libertà e uguaglianza inscritte nella modernità.
Ripensare l’emancipazione, dunque, richiede un pensiero post-abissale: interrogarsi sui diritti di cittadinanza anche dalla prospettiva dei non cittadini, sui diritti umani anche dalla prospettiva di quanti sono considerati sub-umani o non-umani: quanti vivono dall’altra parte della linea abissale, infatti, resistono alle umiliazioni, alle discriminazioni e all’esclusione sociale estrema e sono in cerca di soluzioni perché vogliono sopravvivere nel presente. Il pensiero post-abissale si fonda su una “ragione cosmopolita”, (…) che ha come obiettivo quello di espandere il presente e di contrarre il futuro attraverso tre procedimenti sociologici: la sociologia delle assenze, delle emergenze e il lavoro di traduzione. La sociologia delle assenze consente di espandere il presente rivolgendo il suo interesse a ciò che il pensiero eurocentrico produce come non presente e quindi invisibile, non esistente. (…). Compito della sociologia è (…) sottoporre a critica le gerarchie prodotte dal pensiero eurocentrico e trasformare così le assenze in presenze: la dilatazione del presente è, infatti, possibile nel momento in cui si allarga ciò che può essere considerato contemporaneo. Da qui l’importanza di rilevare la diversità e la molteplicità delle pratiche sociali, manifestando le esperienze che si oppongono agli elementi distruttivi della globalizzazione.
La sociologia delle emergenze, dal canto suo, mira a contrarre il futuro sottoponendo a critica la sua concezione lineare, l’idea di un progresso senza limiti e di un futuro infinito, che non necessita di essere pensato. Nell’anticipazione di un mondo migliore, le teorie critiche marxiste contraggono il presente ed espandono a dismisura il futuro, allo stesso modo dell’ideologia modernizzante che assolutizza lo sviluppo capitalistico. È invece necessario contrarre questo futuro per poterlo pensare, ciò per eliminare o per lo meno attenuare la distanza che esiste tra la concezione di futuro della società e quella degli individui, per i quali il futuro è limitato alla durata della loro vita, o al massimo a quella dei propri figli. Questo futuro dipende dalla cura e dalla presa in carico. L’obiettivo è dunque (…) sostituire il vuoto del futuro insito nella concezione lineare del tempo, in un futuro di possibilità plurali e concrete, che si vanno costruendo nel presente attraverso le attività di lotta e di cura. (…) Santos invita la sociologia a concentrarsi sulle alternative contenute nell’orizzonte delle possibilità concrete: l’emersione delle nuove esperienze anti-egemoniche si fonda su un ampliamento simbolico delle conoscenze, delle prassi e degli agenti. Le aspettative legittimate attraverso la sociologia delle emergenze sono contestuali e locali e sono in grado di aprire nuovi cammini di emancipazione sociale concreti e radicali. “(…) o meglio, di emancipazioni sociali”. L’emancipazione non è (…) ricerca di uno stadio finale, ma (…) vigilanza etica sopra lo svolgimento di possibilità, una conoscenza argomentativa che, invece di dimostrare, persuade, invece di voler essere razionale, intende essere ragionevole, accettando l’impossibilità di una teoria generale. L’alternativa alla teoria generale è il lavoro di traduzione (…), che permette di creare intellegibilità reciproca tra le esperienze di emancipazione sparse per il mondo (…) [ed ]è insieme un lavoro intellettuale, politico ed emotivo al fine di una reciproca comprensione fra esperienze possibili e disponibili.
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