Ethos fondato sui dispositivi tecnologici digitali attuali

Sadin ricostruisce un fondamentale processo di modifica del sé:

Nel giro di pochi anni – e in rapida successione – ci siamo trovati di fronte a due eventi di straordinaria portata, che avrebbero continuato a influenzare il corso delle nostre esistenze. Siamo rimasti storditi e abbiamo cominciato a barcollare, come quando durante un incontro di boxe si riceve un gancio destro immediatamente seguito da uno sinistro. Noi ci inebriavamo, e il mondo economico si prodigava. Esso aveva saputo rispondere con grande destrezza al desiderio di autosufficienza e mobilità manifestatosi dopo la svolta neoliberista degli anni Ottanta. Ben presto, in un momento di lucidità, ci si sarebbe accorti di una conseguenza enorme: la dipendenza. Il fenomeno era impressionante e allarmante. Logorava un gran numero di persone, adulti, adolescenti, persino bambini. Se ne parlava sui giornali, in famiglia. Ma acquattato nell’ombra si nascondeva un fenomeno altrettanto decisivo, sebbene più subdolo, che sarebbe venuto a galla soltanto in un secondo momento: la sensazione sempre più diffusa di una centralità del sé. Derivava in particolare dalla soddisfazione di essere sempre informati su una gran varietà di argomenti, di sentirci meno ingannati, di procedere su percorsi più battuti, di considerarci più artefici del nostro destino. Eravamo agli albori dell’ethos fondato su tali dispositivi tecnologici. Perché, da un lato, essi avrebbero continuato a perfezionarsi e a sostenere tale dinamica. E dall’altro, l’industria del digitale – ben presto dominante – aveva colto alla perfezione le formidabili e inesauribili risorse offerte, su scala planetaria, dalla concezione di sistemi in grado di dare contemporaneamente l’illusione di una crescita dell’autonomia e dell’autostima. Sarebbe stata in grado di mobilitare tutti i mezzi necessari ad alimentare ininterrottamente questo doppio convincimento. Questo fece sì che gli individui non solo venissero ingannati, ma soprattutto che rimanessero segnati per sempre – e in modo indelebile – dalla piacevole illusione di poter accedere a una nuova condizione di autosufficienza.

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