Questa citazione di Rodotà – del tutto inconsapevolmente perché affatto precedente l’affermazione della società della conoscenza ciberneticamente sorvegliata – la dice lunga sulla attuale illusorietà dell’educazione civica digitale e della media education come rassicurante attività formativa su base individuale, anzi atomizzata, nell’ambito dell’istruzione (primaria, secondaria o terziaria), perché afferma invece la centralità della dimensione collettiva, della necessità di un controllo politico sui sistemi informativi. Ovviamente democratico e trasparente.
Il singolo cittadino solo raramente è in grado di cogliere il senso che la raccolta di determinate informazioni può assumere in organizzazioni complesse e dotate di mezzi sofisticati per il trattamento dei dati, sì che può sfuggirgli lo stesso grado di pericolosità dell’impiego di quei dati da parte di tali organizzazioni. Inoltre, è del tutto evidente l’enorme dislivello di potere esistente tra l’individuo isolato e le grandi organizzazioni di raccolta dei dati: in queste condizioni, è del tutto illusorio parlare di «controllo». Anzi, l’insistenza esclusiva sui mezzi di controllo individuale ben può essere l’alibi di un potere pubblico desideroso di eludere i nuovi problemi determinati dalle grandi raccolte di informazioni e che si rifugia così in una illusoria esaltazione dei poteri del singolo, che si vedrà così affidata la gestione di una partita che non potrà che vederlo perdente.
L’attenzione, di conseguenza, deve essere spostata dai mezzi di reazione individuale agli strumenti di controllo sociale: e potrà anche avvenire che, seguendo questa strada, vadano perduti alcuni mezzi tradizionalmente a disposizione del singolo; perdita, tuttavia, che ben può essere compensata dall’esistenza a livello collettivo di un apparato di controllo complessivamente più incisivo e vigile di quello attuale.
