Ethical by undesign

Concetto coniato da Federico Cabitza per indicare

un atteggiamento di estrema prudenza per lo sviluppo, la produzione e l’adozione di tecnologie di cui non conosciamo ancora il potenziale trasformativo, ma possiamo anche dire distruttivo, nei contesti organizzativi e sociali in cui venissero adottate su larga scala: tale atteggiamento consiste nell’astenersi dall’azione (…) e, nei casi dove reputiamo o riscontriamo che i rischi siano troppo alti, anche nel parziale smantellamento e riduzione della componente tecnica e digitale. È una provocazione proposta per suggerire che, a volte, il vero progresso consiste nell’opporsi all’ideale della ‘innovazione per l’innovazione’, a tutti i costi, cioè dell’inseguimento del nuovo ad ogni costo, e nel riconoscere che quello che si può perdere cambiando abitudini e adottando acriticamente la tecnologia è troppo importante per correre il rischio che questo avvenga. L’invito ad essere ethical by undesign è anche un invito ad opporsi al soluzionismo tecnologico ad oltranza, e cioè a quell’atteggiamento – a cui si è opposto tra i primi Evgeny Morozov – che per ogni problema della nostra società, incluso il diffondersi delle pandemie o il cambiamento climatico, concepisce e promuove soluzioni razionali, tecnologiche e da progettare a tavolino, finendo per trascurare la complessità dei contesti socio-tecnici in cui quelle soluzioni dovrebbero essere applicate efficacemente e per sottovalutare il ruolo di ciò che è imprevedibile e non governabile (…)