Digitarchy

Giorgio Pirina afferma che la digitarchy è una nozione che:

può essere utile a cogliere l’articolazione concreta delle differenti visioni circa il governo del digitale, la loro portata e capacitàdi intervenire nel ventaglio di possibilità incorporate nel reale (…). Così come l’idrarchia, è opportuno osservare la digitarchia “dal basso” e “dall’alto”. Nel primo caso si intendono le forme organizzative assunte dai lavoratori digitali e le relazioni che questi ultimi tessono con altri attori (istituzionali e no, locali e sovra-locali) al fine di stabilire traiettoriealternative rispetto a quelle attuali – quindi, sia nell’ambito del quadro giuslavoristico dato, sia prospettando nuove possibilità –, aprendo altresì spazi solidaristici e di mutuo sostegno nonostante le frammentarietà derivante dalla gestione algoritmica. La “digitarchia dall’alto”, invece, rappresenta l’insieme di dispositivi normativi e disciplinari attuati dal management delle piattaforme digitali e, in generale, delle imprese del capitalismo delle piattaforme, impiegati per creare un’organizzazione e architetture del digitale volte a garantire l’accumulazione del capitale. Anche in questo caso, le relazioni tessute con gli attori istituzionali
risultano decisive per rendere dominante la propria visione. La digitarchia “dall’alto”, quindi, si nutre del discorso ideale e del mito della sharing economy. Quello di “digitarchia”, in particolare nella declinazione “dal basso”, è un concetto che può dialogare con la cornice del platform urbanism, nel cui ambito Mark Graham ha proposto tre strategie volte ad impostare un futuro differente per l’utilizzo delle piattaforme: regolare, replicare e resistere (…). In altri termini, l’architettura delle piattaforme digitali può contenere in nuce possibilità emancipatorie e solidaristiche. (Giorgio Pirina, “Lavoro di piattaforma e indebolimento della società salariale.
Il caso del food delivery bolognes
e“, Sociologia del lavoro, 163-2022)