Piattaforme per le politiche attive del lavoro

Carbone e Ciccarelli analizzano le implicazioni del fatto che:

[secondo] il progetto Italy Works i servizi pubblici per l’impiego, la cui specializzazione è (…) incrociare una domanda e un’offerta di lavoro – il job matching – avrebbero dovuto essere organizzati nello stesso modo in cui funzionano le piattaforme digital che organizzano, attraverso un algoritmo, le attività dei ciclo-fattorini che consegnano cibo a domicilio (…), gli autisti delle aziende di ride hailing (…) oppure quelle dei (…) clic workers che rispondono alle aste online e concorrono per eseguire lavori a cottimo (…) Questi sistemi usano già le tecniche della workforce analytics e People Analysis (…) finalizzate alla selezione, al monitoraggio, al controllo e al raffinamento dei dati e sono applicate da aziende come UpWork, Domino’s Pizza, Humanyze o da studi legali internazionali (…). Nell’ambito delle “politiche attive del lavoro” l’uso delle piattaforme avrebbe dunque dovuto essere diretto verso l’automatizzazione dell’incrocio (matching) tra la domanda e l’offerta di lavoro realizzato in un mercato-piattaforma o piazza virtuale (marketplace) in cui convergono sia clienti che i fornitori e, infine, la forza lavoro necessaria per realizzare beni, servizi o relazioni (…). adattate al case management (cioè la “gestione dei casi”) aspirano ugualmente a rendere interoperabili le banche dati, a usare gli strumenti di business intelligence e le metodologie di machine learning (…). Tuttavia, pur concepite come “quasi mercati”, tali piattaforme dipendono in maniera decisiva dalle condizioni lavorative, sociali e personali dei beneficiari dei sussidi. Tali condizioni sono difficilmente governabili solo attraverso l’automazione come invece prospettato (…) [dal] progetto Italy Works. In alcuni casi, in particolare negli Stati Uniti, le piattaforme digitali per le politiche attive del lavoro sono state usate per controllare, stigmatizzare o punire i presunti responsabili di condotte “devianti” o del mancato incrocio tra la domanda e l’offerta di la voro. Questa situazione è la conseguenza di
strutturali problemi sociali, giuridici o economici oltre che di una concezione
securitaria della tecnologia (…). Il problema è emerso anche nella determinazione del va lore delle politiche sociali e occupazionali di cui fanno parte sia il “reddito di cittadinanza” che le politiche attive del lavoro. Tale valore (…) è il prodotto di una contestata politica che affronta i problemi congiunturali del ciclo economico al fine di rilanciare la domanda aggregata; pretende di formare una porzione della forza lavoro “occupabile”; prospetta una discutibile moralizzazione della vita di persone che occupano una posizione precaria e marginale nel mercato del lavoro e nella società;
cerca il consenso rispetto a un’idea della società dove “nessun pasto è gratis”. (…) il Case manager [è] (…) la funzione di governo e indirizzo delle persone svolta da una pluralità di figure nate nel campo dell’expertise che si dedicano all’“inclusione attiva” nel mercato del lavoro e nella società. Nel case management l’uso delle piattaforme digitali è finalizzato alla profilazione, alla valutazione, al monitoraggio e al coordinamento degli interventi su un “caso” individualizzato, quello del beneficiario di un sussidio di cui è necessario verificare le sue (sic!) abilità, capacità e conoscenze: le cosiddette soft skills con le quali si misura l’“affidabilità” di un soggetto rispetto a
un impegno o a una regola morale: l’osservanza dei tempi, la flessibilità e l’adattabilità ai limiti e alle mansioni, il lavoro di squadra, per esempio. Lo scopo di questo progetto è duplice: da un lato, adeguare i comportamenti alla soddisfazione degli obiettivi prestabiliti da un’istituzione o da un datore di lavoro; dall’altro lato, indirizzare l’individuo verso un obiettivo che non risponde solo a un lavoro specifico, ma a una norma di comportamento sociale. (…) Il case manager svolge un’attività terapeutica definita in questi termini: abilitazione (enabling), potenziamento (empowerment) e capacitazione (capability). In tale attività è prioritaria anche l’educazione alla cittadinanza digitale: alfabetizzazione agli strumenti elementari come l’uso della mail o dell’auto-profilazione del soggetto rispetto alle richieste di profili lavorativi presenti su una piattaforma che bisogna imparare a consultare in autonomia. (…) [L’obiettivo strategico è] includere i “casi” nella gestione di una contraddizione che struttura una condizione sociale liminare e giustifica l’esclusione in funzione della promessa di un’inclusione variabile e incerta realizzata attraverso l’incrocio tra domanda e offerta su un mercato del lavoro concepito come entità autoregolata e programmabile attraverso le piattaforme. Questa prospettiva cibernetica è ricorrente nella concezione dell’automazione diffusa nel dibattito sulle piattaforme digitali e deriva da un’immagine parziale, e non del tutto priva di un’ispirazione mitologica, di un mercato
governato da un “segretario del mercato”, cioè un super-soggetto paragonabile a un Dio nascosto, privo di interessi negli scambi e garante dell’equilibrio generale in cui si rinnova quotidianamente un miracolo (V. Carbone – R. Ciccarelli, “Piattaforme digitali, politiche sociali e occupazionali: il case management nel ‘reddito di cittadinanza’ in Italia”, Sociologia del lavoro, 163-2022)