Un altro software è davvero possibile?

Sul tema vi sono posizioni molto diverse.

Stéphane Crozat, docente e ricercatore presso l’Università di Tecnologia di Compiègne (UTC) e membro di Framasoft, associazione che da anni sviluppa software per “de-googlare Internet“, sostiene che non si tratta di fare la stesse cose di Google, ma di realizzare strumenti con una logica completamente diversa, tenendo conto del modo in cui queste tecnologie riconfigurano il mondo. Ad esempio, Il motivo per cui i membri di Framasoft preferiscono utilizzare il servizio video Peertube invece di YouTube è che il primo non incoraggia il consumo frenetico di contenuti, grazie a come è stato progettato.

Ma questi progetti hanno i loro limiti. Proponendo alternative etiche, il software libero non contribuisce forse al gioco della digitalizzazione? Questa è la tesi sostenuta da Julia Laïnae e Nicolas Alep, rispettivamente membri delle associazioni Les Décâblés e Technologos, in un libro incisivo, “Contre l’alternumérisme”. Per questi due “attivisti tecnocritici”, come si definiscono, difendere un “buon uso” degli strumenti significa accettare l’idea che dobbiamo “adattarci” al nuovo ordine digitale. Scrivono che “il software libero è solo un metodo di sviluppo informatico e di licenza di distribuzione, non mette in discussione la ricerca dell’efficienza e la razionalità strumentale, che sono alla base delle tecnologie digitali”. E invocano un “drastico ritiro dall’informatizzazione” come unico orizzonte. “Non esistono una digitalizzazione felice, né un uso emancipatorio delle tecnologie avanzate. L’unica soluzione è una riduzione tecnologica, con tecniche semplici e facili da usare, che per sua natura la tecnologia digitale non può essere”, aggiungono. Questa conclusione è simile a quella raggiunta da Félix Tréguer, sociologo e membro de La Quadrature du Net, dopo un lungo e meticoloso lavoro storico che spiega perché l’utopia originaria di Internet è fallita. Per lui, “ciò di cui abbiamo bisogno non è una patch del software, né un armeggio legale, e nemmeno un po’ di etica”. Ciò di cui abbiamo bisogno è innanzitutto “fermare la macchina”. “Abbiamo scoperto che il progetto iniziale di software libero era fallito”, riconosce Pierre-Yves Gosset, direttore generale di Framasoft. “Gli utenti volevano un software libero illimitato, fluido e perfezionato, perché era libero, ma senza capire che era necessario cambiare l’intera logica di funzionamento dello strumento”. Questa constatazione ha dato il via a una svolta “tecnocritica e politica” nelle operazioni dell’associazione: “Il software libero era l’obiettivo; è diventato un mezzo”, riassume Pierre-Yves Gosset. Innanzitutto perché permette una certa liberazione tecnica, ma anche e soprattutto perché porta con sé diversi modi di fare le cose e perché può essere usato per cambiare completamente sistema. Questa diagnosi è in sintonia con quella dei membri de L’Atelier Paysan che ritengono che le alternative da sole, anche se virtuose, non siano sufficienti. Affinché si verifichi un vero cambiamento, è necessario modificare i rapporti di potere. (adattamento e citazione da Nicolas Celnik, Fabien Benoit – “Techno-luttes. “”Enquête sur ceux qui résistent à la technologie”, traduzione in proprio)