Human pattern

Riferendosi alla propria personale visione del filmato qui incorporato, Gallina rievoca le relative riflessioni in merito:

L’artista eseguiva il dipinto a olio utilizzando spatole, pennelli e legni appuntiti. Le sue mani si muovevano con sicurezza; appoggiava la spatola alla tela, allineandola con precisione ai contorni, per poi muoverla con scatti rapidi. Osservando attentamente, si poteva cogliere un pattern nei movimenti: a quelli più istintivi, rapidi, gestuali e, di conseguenza, meno precisi, veniva affidata la realizzazione delle campiture più ampie e delle zone meno portatrici di contenuti grafici essenziali; mentre i movimenti più cauti, brevi e lenti costituivano i tratti più significativi del volto: gli occhi, le narici e le labbra. Inoltre, questi ultimi si componevano di ritocchi spazialmente ravvicinati. Il modo di procedere dell’artista rispettava una sorta di codifica di forma [assegnazione di forme, dimensioni o colori diversi in posizioni prestabilite – NdR]: inconsciamente, Guayasamín guidava gli strumenti con velocità e precisione differenziate in funzione del fatto che l’elemento da riprodurre fosse più o meno significativo. Tutto ciò non stupisce: è ragionevole che gli occhi del soggetto, o la parte terminale delle labbra, debbano essere riprodotti con più attenzione, pena la perdita di riconoscimento dell’intera figura. Chi osserva un volto si concentra su marker facciali ben precisi. Come tutti i ritrattisti, Guayasamín aveva interiorizzato il principio secondo cui i dettagli presenti nei punti di attrazione vanno rappresentati con maggior “fedeltà” grafica. E ciò si ottiene attraverso segni di spatola più brevi e meno rapidi. (P. Gallina, “La protoarte dei robot. Quando l’arte, la robotica e l’intelligenza artificiale si intrecciano”)